mercoledì, marzo 7

memory serves

scritto e archiviato sulla memoria dell'holodeck
[Kijitsu]

Queste giornate sono al limite di ogni senso. 
Trascorri due anni senza che avvenga assolutamente nulla e, d'improvviso, ti piove addosso l'esistenza senza pietà. Credo dipenda dal lavoro per Hall Point. 
Hall Point è un crocevia. Fare parte dello staff dello skyplex non ti da la possibilità di nasconderti. E la gente che lavora qui, i miei colleghi, sono tutte persone che trattano la vita senza guanti. E la vita restituisce loro la cortesia. 
C'è una sorta di accordo taciuto, di cameratismo, di solidarietà carsica che scorre profondamente senza rendersi manifesta.
Donna è protettiva, con il proprio alveare. Possessiva, verso il benessere dei suoi dipendenti. 
Non so se Abel se ne sia accorto, ma credo di sì. Io e lui siamo relativamente nuovi. Relativamente spinosi (ciascuno in maniera differente).
Abel. 
Il protagonista indiscusso dei miei pensieri, di recente. 
Non sono ancora riuscito a parlarci e temo che mai ci riuscirò. Credo che non voglia nemmeno parlarmi. E penso lo faccia, in un certo senso, per me. Lo capisco. Fino ad un paio di giorni fa ero divorato da un desiderio atavico di prenderlo a botte: se solo m'avesse detto quello che doveva dirmi, allora, quando gli raccontai di Eir.
Dal suo punto di vista non era troppo semplice. 
Nelle mie ostinate problematiche, nel mio modo di gestirmi in solitaria, ma di raccontarmi senza remore né interesse, metto le persone in condizioni orribili. Io sono egocentrico in modo programmatico. Lui lo sa e stranamente la questione non pare infastidirlo. 
La sua è stata una mancanza, ma una mancanza disinteressata. 
Entrambi, dopo tutto, non risultiamo adatti ai rapporti. Dopo la guerra. 
Siamo amici e rimane. A volte vorrei comprendere come essergli utile, trascorro le ore a meditare sul modo per aiutarlo. Poi lo vedo: non vuole essere aiutato. Almeno, non da me. Va bene così, si può essere amici su altri presupposti. 
E si può non voler nessun aiuto. 

Sono sulla Kijitsu, abbiamo portato a termine la missione. 
Stavolta, per non rischiare, mi sono trascinato dietro la morfina. Ci sono innumerevoli punti morti in un viaggio spaziale, quando sei l'unico passeggero d'una spedizione. Restare eccessivamente solo con la mia intelligenza non mi allettava un gran che. 
Ci vado giù pesante con le dosi, da una settimana ad adesso. É una risposta fisiologica alla privazione di tranquillità. Il mio corpo, i miei nervi non son fatti per i terremoti a lunga scadenza. A volte esagero, lo riconosco. 
Comunque dormo un po' di più e bevo un po' di meno. Eir, la notte, mi tiene in ostaggio, sotto scacco, impedendomi di sperperare le mie forze ed i miei risparmi spalmato sul tavolo della roulette. Non che Eir mi conceda tregue o mi lasci riposare tanto facilmente... però, avere un letto ad un paio di metri di distanza o sotto la schiena può rivelarsi un buon incentivo a crollare, ogni tanto. 

Eir.
Se non ci fosse Eir tutto il resto messo assieme sarebbe sopportabile. Lei da sola, è il problema. Una parte di me aspira a liberarsene, lo ammetto. È la porzione del mio ego conservativa, quella che tende sempre a riportare il sistema fisico in stato di quiete. Quando prende il sopravvento, lo fa negando l'importanza del rapporto. 
Solamente un emozione sperimentale, una prova, uno degli ennesimi gesti sconsiderati compiuti al fine di procurarsi un fremito, una scarica d'adrenalina, una novità con cui baloccarsi. Il fascino dell'esotico, del selvatico, dell'indomabile. Un'esperienza. Una vacanza.
La parte conservativa di me chiede di recidere il legame in nome della restaurazione. Porta argomenti affilati, mi raggira, mi offre la possibilità della pace, mi seduce con le lusinghe della pace. Del riposo.
L'altra fazione, quella che affamo e che asseto da anni, quella volitiva e entusiasta (?) possiede anch'essa ragioni per privarsi di Eir. Come ho spiegato a Neville, io prendo da lei molto più di quanto le restituisca. La vita, l'energia che la costringo a sperperare, a sacrificarmi addosso, il modo in cui, inconsapevolmente, esigo la sua dedizione. Non può trovare in me nulla, può solo perdere molto. Non lo dico per compiangermi; Eir è il tipo di persona che uno come me prosciuga facilmente. Con una donna diversa, non accadrebbe. 
Voglio saperla felice e tale desiderio, unito alla mia cruciale incompetenza in materia, rischia di distruggerla; la sua felicità mi esclude. 

Eppure non sopporto di perderla. 
La storia della foto di Evah è un esempio plateale. 
Non m'ero posto il problema di mostrarle o meno l'immagine. Ciò indica chiaramente che non mi muovo in una dinamica di coppia: quel ritratto di miss Adams avrebbe dovuto stimolare, come prima preoccupazione, un'interrogazione mentale sulla posizione da sostenere di fronte ad Eir. Non è accaduto. L'ho data in pasto al mio cinismo.
Mi ha respinto, per giorni. Il problema non era Evah, non era il passato, il futuro, il senso della foto, la sua ragione d'esistere: il problema era la crudeltà anestetizzata con cui ho gettato Eir allo sbaraglio dentro le mie disattenzioni. 
Il momento giusto per tagliare i ponti era giunto.
Ho trascorso ore di reale determinazione: l'avrei fatto, non sarei tornato. 
Poi, una notte, l'ho cercata su Greenfield, al ranch, rischiando di farmi sparare come un cretino. 
Bussavo prima di aver capito cosa m'avesse trascinato alla sua porta. Guardandola, ascoltandola, premendola sul mio corpo, nelle ore trascorse assieme, ho vanificato qualunque proposito. 
Non so cosa rappresenti per me, non capisco. 
So, però, che non tollero di lasciarla andare. 
Qualcosa si oppone brutalmente in me all'idea della sua definitiva assenza.
Forse, anche in questo caso, ha ragione Neville: dovremmo semplicemente smettere di portarci, con ostinazione, la morte dentro. Io, lui e tutti quelli che, parafrasando le sue parole, non sono più capaci di sognare e soffrire con trasparenza. 

Neville è un uomo sorprendentemente brillante.
Il carcere, quella donna, la guerra. Ne ha passate tante quanto me. Anzi, forse di più. La galera e l'ospedale psichiatrico sono difficilmente confrontabili ma il 'manicomio' è una sorta di prigionia, a modo suo. Vergil ha ancora dell'entusiasmo e riesce a stare in mezzo alle cose, in mezzo alle persone. È curioso, è attaccato alla realtà. Mantiene la posizione. 
Un soldato, insomma. Non abbandona il campo, nemmeno dopo la sconfitta. 
A volte mi domando se William non sarebbe divenuto esattamente così, se fosse tornato vivo dalla guerra, se non fosse crepato in quella tenda da campo, se gliene avessero dato il tempo. Se gli avessero concesso l'orrenda occasione di disilludersi. 
È probabile. 

Ho accompagnato Vergil su Safeport per la storia dell'impianto genetico. 
Rimestando nella mia coscienza stantia. Era dall'università che non mi confrontavo con certi argomenti. In guerra, simili sottigliezze, diventano inutili. 
Ho ripensato spesso a Larousse, al nostro lavoro. 
Ci ho pensato prescrivendo la cura a Mughain, vedendola in quello stato pietoso. Reggersi in piedi a furia di Dexepam. È giusto? 
Perchè? Mi pare di rivivere le vecchie contestazioni e non so se ancora son forte di certe convinzioni o parlo solo per imprinting. Cercando m'è capitato di trovare una cosa che scrissi tempo fa. Avevo 24 anni. Pare un'eternità. 

“L'intera storia degli impianti genetici, del siero, delle implementazioni operate sul dna, è sbagliata alle basi. Non perchè faccia male. Non a posteriori. In principio, non funziona. Cosa significa portare l'essere umano alle massime potenzialità? Significa condurlo ad uno stato di eccezionale efficienza? L'efficienza. Dobbiamo divenire tutti precisi come macchine, quasi che l'idealità fosse un obbligo. Quasi che il valore d'una persona si calcolasse in base alla brillantezza delle prestazioni materiali. Il risultato, non il processo. Lottare per sopravvivere è divenuto lottare per il successo sociale. Non si fermano finchè non hanno ottenuto i loro super-soldati, la loro élite incrollabile. Se puoi permetterti tutto, perché non comprarti anche la perfezione?”

Ero un po' arrabbiato e un po' slegato dal concreto, lo riconosco. 
Un po' stupido. Mi domando quanto di questo io ancora ritenga valido. Mi domando dove sarei adesso se non avessero chiuso il nostro progetto; se sarei partito comunque per il fronte. Non so. Non so nemmeno se il lavoro mio e di Larousse sia ancora archiviato da qualche parte. 
Non so niente. Non voglio sapere niente.