sabato, marzo 17

Le cavalier sans tête

scritto su un paio di fogli. la calligrafia è abbastanza scomposta. c'è qualche goccia di sangue (persa dal naso) sulla carta .
[Scarlet Phoenix - cabina]


"It's funny how beautiful people look when they're walking out the door"


Conoscevo la conclusione (una frase che ripeto all'infinito, lo so, ma pare l'infinito non basti ad insegnarmi qualcosa).

Eir mi ha detto che mi ama, due giorni fa. Io sono andato a letto con Evah, oggi. 
Abel è disperso in un buco di merda da qualche parte, vicino a Shadetrack. Forse è morto. 
Per poco non ci rimetto le penne, con quella maledetta morfina, stanotte. 
Ho perso sicuramente Eir, forse Abel.
Che senso ha? 

Abel, dopo Will, sarebbe troppo. 
Abel ha già fatto la sua guerra, ha già speso tutto. Ha già esaurito tutto. Perché? 
Perché non ci lasciano in pace? Me, lui, quelli come noi. 
Non lo sopporto. 
Ancora. 
Se avesse concluso di respirare: non l'ho avvertito. Nulla. Esistevo, nel mio stupido, futile universo mentre lui soffriva (soffre?) in un posto remoto, inafferrabile. Possibile? 
Se sapessi come, dove, andrei a cercarlo. 
Mi pare quasi di sentirlo, la sua strafottenza, la sua faccetta da schiaffi:
'Uno come te non mi troverebbe mai'. 
Ha ragione.
Forse Roona sì, però. 


Eir mi ha dato un pugno in viso. 
Modello William. 
Poi m'ha urlato d'andar via, mentre piangeva fino a prosciugarsi. 
Le ho confessato di Evah. Senso di colpa, sadismo, desiderio di fuga. Confuso e servito freddo. 
Mi sono vendicato: a causa sua, ho osato sentirmi vivo. 
Terribilmente vivo. Ho tuffato la testa nell'acqua gelata. 
Non posso. Durerò una dozzina di mesi, a questo ritmo. 
Non doveva farmi questo. 
Mostrarmi alternative all'inevitabile. 
Non aveva il diritto. 
Come non ce l'ho io. 

Era lì, in tanti minuscoli pezzi d'essere umano. Bellissimi pezzi d'una creatura bellissima. 
Non avrei mai dovuto concederle il permesso di volermi. Concederci il permesso. 
Sono stato debole sotto le sue carezze, sotto i suoi baci, sotto la sua forza meravigliosa. La desideravo sempre, la desidero sempre. Quelle tre ore trascorse assieme, ogni tanto... ero felice.
Seriamente. Era la felicità. 

Ho capito una cosa, mentre la lasciavo. 
Ho capito una cosa che già sapevo. 
La amo. 

Sì. 

...

Non era vero, non è vero che non so provare più niente. Non è mai stato vero. È  una menzogna vile, comoda, che mi racconto da troppo tempo, che la mia schifosa faccia mi racconta. Ci volevi tu, nel bene, nel male, per ridicolizzare questa bugia, per rompere l'incantesimo, con un semplice tocco, un contatto, un respiro.
Grazie. 
Non servirà a niente, ma grazie. 

Evah è stato un pretesto. Il pretesto più facile e sbrigativo. 
(oh, come si indignerebbe se mi sentisse chiamarla 'pretesto')
Un graziosissimo, gradevolissimo pretesto. Me lo son scelto bene. Sempre che io abbia scelto, certo.
È una tentazione perenne, miss Adams. Non esige niente che io non possa concederle senza problemi e senza fatica. La mia compagnia. I miei soldi. Il mio nome. Il mio tempo. Il mio corpo.
Si muove con la freddezza delicata d'una pianta carnivora cresciuta sotto la luna, a forza di falene.
Dal primo istante in cui mi tocca, mi libera dall'obbligo di provare, emotivamente, qualunque cosa.
Potrebbe durare all'infinito, questo gioco. Io, lei, sempre nel posto giusto, senza nulla dentro. Nulla. Un nulla cortese, ironico, eccitante. Un nulla sfavillante, privo di qualunque conseguenza.

Eir mi mandava fuori di testa. Ogni dannatissima volta. È un delirio, un marasma emotivo.
Pone in discussione le fondamenta di me, ci si butta a piene mani e scava, scava, scava, graffiandosi, ferendosi. Scava. Cerca, cerca oltre la bestia.
Ed io, intanto, mi prostro.
Mi innamoro di lei. 

Non ti ho mai fatto una fotografia, Eir. 
Non saprei da dove iniziare. Impossibile racchiuderti, concluderti, confinarti, esaurirti. Provai a scattare mentre dormivi, una volta; tu stavi riversa sul letto, con una delle mie camice addosso. Inutile. 
Meglio così: non piango da quand'ero bambino, non voglio ricominciare adesso. 
Sopra le cose, sopra le immagini. 





*aggiunto posteriormente, con una penna di colore differente e maggiore fermezza di tratti

Vergil mi ha dato carta bianca per Clackline. Salpiamo con la Scarlet dopo la festa di primavera. Ho le attrezzature, il desiderio divorante di levarmi dalle palle per un po'. Clackline: un posto allucinante, a quanto vedo dai miei recenti studi. Il sistema schiavistico è tanto integrato nella società, nel sangue della gente, nelle ossa, che forse vado a immortalare il niente assoluto.
Se quelle persone non aspirassero ad altro? Realmente... I loro antenati, tra la morte e la prigionia, hanno scelto la prigionia.
L'essere umano è davvero in grado di cambiare?
Non un singolo uomo. L'umanità.
Decisero allora e forse, deciderebbero adesso alla medesima maniera.
La signorina Wilson è un raro esempio positivo, singolarmente inutile.
Capisco più Abel, che voleva liberare gli schiavi per lei e non per gli schiavi. Quella è una prospettiva condivisibile. E onesta, tutto sommato. Chiunque libera gli oppressi per se stesso; per sentirsi migliore. Non per gli oppressi. No. Abel, quanto meno, giocava a carte scoperte.
Neville ritiene che la mostra servirà solo a imbastire un teatrino delle coscienze per i perbenisti del Core. Concordo. Non sono come Eir, che odia l'alleanza dalle radici alle foglie. Che ucciderebbe, credo, per compiacere una bandiera. No. Tuttavia ammetto che noi del centro abbiamo sempre avuto una macabra tendenza a pretendere di dettare il giusto per tutti. Un unico giusto per centinaia di mondi.
Ricordo una conversazione dei miei genitori sugli schiavi.
Avevo quindici anni.
Mio padre mi confidò che gli schiavi erano 'brava gente bisognosa d'una guida'.
Mia madre, come d'obbligo, aggiunse, atrocemente: 'per questo ai cristiani piacciono tanto'.
Mio padre non l'ascoltò e mi diede una pacca sulla spalla: 'non siamo tutti uguali; per il bene della pace , c'è chi è adatto a comandare e chi ad eseguire. Ognuno serve, ognuno è indispensabile'
Avevo quindici anni, sì, non sei.
Se ne avessi avuti sei gli avrei domandato chi, cosa deliberava lo spartiacque. E perché il 'servire a qualcosa' fosse il metro su cui un uomo va valutato. Visto che ne avevo quindici mi barricai in una noia asociale.
Mi chiedo se il mio vecchio continui tutt'oggi a parlare per totali banalità .
Se mia madre continui a somigliarmi.
E mi chiedo, ancora, cosa stabilisce lo spartiacque tra chi comanda e chi obbedisce, al di là dei futili discorsi sciorinati solitamente in materia.
La storia? La codardia? I rapporti di forza? L'abitudine? Il denaro?
Se milioni di persone si sentissero davvero oppresse, assieme, nello stesso momento, se avvertissero realmente un'ingiustizia insindacabile, intollarabile e se si sollevassero, si ribellassero; il sistema, le tavole apparecchiate, salterebbero completamente. In una furia bruciante. Senza scampo.
Perché non accade?
Quali mostri sacri presidiano tale incrollabile spartiacque?

(William aveva sempre le risposte pronte a certe domande.
Quasi sempre stupide, ma pur sempre risposte)



...

E poi, sai, Eir...
Non posseggo tanto altruismo.
Eppure...
Sono un dottore, al di là del patetismo. 
Conosco determinate dinamiche.
Le ho pensate, ripensate.
Un mattino ti saresti alzata e mi avresti trovato morto di overdose, disteso in bagno, vicino al divano. O t'avrebbero contattata, chi sa da dove, da una strada, da un canale, da un ospedale. Su Horyzon, su Safeport, su Corona, su Greenfield. Tra un paio d'anni, tre, non importa. Io non mi sopravviverò. Lo so. Morirò presto, sarei morto presto; e tu ti saresti chiesta per sempre se avessi fatto a sufficienza per salvarmi; te lo saresti chiesta fino a distruggerti, fino ad ucciderti.

Rimango un imperdonabile stronzo, sì... però...
Il tuo cuore gettato nel fango una volta vale la certezza della tua possibile gioia perenne. 
Sono un presuntuoso.
Una brava puttana di Corona, come direbbe la tua Presta. 
Ho deciso per entrambi.
Tu sei troppo buona per scegliere la vita, tra la vita e me.