mercoledì, maggio 30

Set fire to the rain



-Ho intenzione di sposarla, Ritter
William sta in piedi, la schiena appoggiata alla balaustra del terrazzo, alle sue spalle il buio incombente, straziato dalle meravigliose luci di Capital City. Sono entrambi sul tetto della palazzina in cui abitano, da anni, il tetto sotto al quale si sono incrociate e fuse assieme, specchiate le une nelle altre, tutte le loro esperienze. Fino ad adesso.
Will è accartocciato nel proprio maglione rosso, quello che lo vestirà costantemente anche nei ricordi. Nelle allucinazioni. Quello delle cose importanti. Ha tagliato i capelli, i bagliori remoti delle insegne, dei lampioni, dei neon covati negli edifici rimbalzano tra le ciocche precise, nette. Prepararsi alla guerra, si comincia dalle piccole cose. La barba bionda gli incornicia il mento, si bagna del riflesso della sigaretta accesa. Gli occhi celesti, solitamente enormi, sono acquattati in un'insonnia nervosa, aggressiva e minacciata. Fissano il vuoto, le antenne in metallo, senza vederle davvero.
Eleazar è lì accanto. In lui, l'insonnia è sfacciata e si siede al centro del volto con languida noncuranza, con disperata abitudine. I capelli paiono piuttosto lunghi, piuttosto reticenti alla quiete, agitati dalla brezza notturna. Sta fumando. La camicia bianca non basta, evidentemente, a schermarlo dai respiri pungenti di Horyzon. Non risponde. Lo sguardo è una linea implacabile, l'ennesima, tra le altre del volto angoloso, glabro.
Sembrano quello che sono: due amici reticenti a dirsi addio, che recriminano fino all'esasperazione, che recriminano sino a potersi concedere il lusso di abbandonarsi senza salutare.

lunedì, maggio 21

Make a deal with God




Rachel Cavendish percorre il corridoio. Il corridoio le scorre sotto ai piedi magri, mentre la pelle d'alabastro bacia il mosaico a volute leggere. Le vetrate in cristallo la immergono in un'impareggiabile acquario di luce. Vi passa le dita, lasciandole indietro a lambire le trasparenze intrise di sole; la testa ruota, esponendo il collo ai passi futuri, abbandonando gli occhi grigi sulla scia invisibile della mano, dietro di lei. Fragili vene azzurre le cingono i polsi, le caviglie, come screziature iniettate in una coppa di marmo. Fuori, il verde trionfale, la pelliccia sontuosa adagiata su Corona. La tenuta dei Ritter si estende troppo oltre per apprezzarne il confine. 
Assapora l'ondeggiare molle del vestito lungo, sulle gambe magre, sul ventre scavato, sul petto nudo. Una tunica semplice, d'un amaranto intenso, che ne esaspera la figura esile coronata di minuti ricci dorati. La sinistra culla un calice di vino. L'ennesimo. 
Il brivido della fame protratta, dell'alcol, della massacrante quotidianità violata. 
Rachel si muove a rallentatore, diluendosi nei gesti, diluendosi nell'aria fresca del patio. 
Il grande salone a volta la accoglie come un'enorme nicchia, una caverna artificiale. L'ombra la avvolge, spezzando i raggi che bruciano le linee del viso, le volute dei capelli, le creste della stoffa rossa. Un profumo di anemone e magnolia ne tradisce lo spirito. 

martedì, maggio 15

Gravedigging

scritto e archiviato nella memoria dell'holodeck
[trasporto per Richleaf]



Il noto diviene abisso quanto l'ignoto e questi due precipizi, uno dove stanno le nostre colpe, l'altro dove sta la nostra attesa, confondono le loro irradiazioni. 


Evidentemente sto sbagliando qualcosa.
In senso esistenziale ed onnicomprensivo. Probabilmente dipende dalla mia inettitudine alla relazione, alla mia incoscienza priva di freni. Il mio ego amministra me ed il mondo in maniera diversa. Con Ritter, il cervello erige labirinti irrisolvibili tra le insenature dello spirito; se si tratta del mondo invece la mente si muove spianando trionfali autostrade.
Contro me stesso, vesto i panni del cinico sofista, del torero che dissangua la lotta e cela la spada. Con l'esterno indosso l'armatura del soldato, del cavaliere di torneo la cui ragione esplode nel muscolo animale.
Estenuare. Giustiziare.
Non sono un diplomatico. Traccio la retta da B a C con tutta l'intenzione di schiantare ostacoli, pur di non inventare curve. La gente s'attende altro. La gente sbaglia. Brillare in pianificazione non fa di me uno stratega; la tigre migliore a saltare nel cerchio di fuoco non è fiera del proprio primato.
Detesto le procedure tortuose.
I segreti imbastiti per viltà borghese.
La soluzione ad un problema non è quasi mai complessa. Complesso è un termine socialmente accettabile, ipocrita, per definire un dilemma la cui soluzione prevede procedure scomode o reputate dolorose.

giovedì, maggio 10

Where the sea meets the sun

scritto su fogli sfusi, in carie occasioni. alcuni fogli sono strappati. pesanti cancellature
[Greenfield]



The bends in your brain
 and your elaborate pain
makes me tired



Comiciamo

È viva. Viva, sta bene. Più o meno. Come al solito, aveva ragione qualcun altro. Non che mi interessino, la ragione o il torto. Smettere di sperare, è la prima delle mie difese, la meno sofisticata. Quanto male possa fare, una speranza disattesa sul lungo periodo... Spogliarla piano di quella tuta assurda, abbracciarla. Non piangevo da vent'anni. Strana sensazione. Solo in quel momento, mi sono reso davvero conto di quanto mi sia messo in gioco. Il momento dell'estrema debolezza, dell'estrema consegna di sé. Le lacrime sono un prezzo ed un risarcimento per la corazza esaurita, scaduta, che Eir mi sfila come io le ho sfilato l'armatura spaziale. Protezioni utili a sopravvivere nel vuoto, senza ossigeno, senza calore; adesso non servono più. Qui, l'uno con l'altra.
Oramai sono rassegnato ai segreti, alle reticenze, ai colpi di testa. Le ho estratto dalla schiena cinque schegge di granata, dalle gambe sei. Cerco il rischio per attitudine mentale, ma quando la riguarda perde qualsiasi fascino. Qualsiasi seduzione. Mi basta tenerla stretta qualche ora la notte, contarle il battito in petto, passarle una mano sulla pelle, per domandarmi quanto resisterà, ancora; se continua a bere così, se continua a mettersi in pericolo, a trascurarsi, a distruggersi per le cose che ama (me compreso). Vivere nel presente, solo il presente, è un imperativo a cui mi sottopongo in modo stringente, da quando la conosco. Non posso rischiare di promettere sapendo non poter mantenere. Lei pure, lei pretende di vivere solo il presente ma lo vedo, lo vedo che le sta stretto. Dopo tutto le rivolte non si intraprendono per il presente. E lei è una animale da rivoluzione.

mercoledì, maggio 2

Slow show

scritto disordinatamente su svariati fogli di carta, senza soluzione di continuità, riempiendo in modo casuale gli spazi bianchi.
[Safeport - stanza]



La schiena brucia, dopo giorni. Assurdo. Mi porto addosso un marchio vivo, sotto le sue unghie la verità. La verità che c'era la volontà, la vita, oltre. Dentro. La verità di un mondo improvvisamente, terribilmente possibile, a pochi passi da noi. Allungare la mano, afferrarlo, rinunciare al resto, il resto inutile. L'inutile resto, che adesso rimane in tutta la propria mostruosa banalità; e mi ingoia. Il dolore, il dolore sulla pelle, una vendetta per le parole che non le ho saputo dire, per le parole che non le ho detto. Il dolore a filari, tra le scapole, il percorso di quelle dita, se chiudo gli occhi dentro la morfina le avverto attorno alla testa, sul petto, sulla bocca. E la pelle si infiamma, lungo la colonna vertebrale, lungo l'immagine del suo corpo, lungo la rotta per un posto migliore, la rotta spezzata dalla voce roca di Jack (era Jack?), 'Non c'è traccia di Sterling'. E questi graffi, sono un marchio, conferiscono fisicità al semplice e terribile sentimento di perdita, danno una carne alla nostalgia squilibrata in cui mi dibatto senza muovermi. 

martedì, maggio 1

From her to eternity


scritto su vari fogli sparsi, senza collocazione né data


Il 'Verse, di recente, vomita misteri di continuo. Letteralmente.
I Grayskins, i draghi. Credo di stimolare le confidenze delle persone. È un' incognita, per me, come accada. Seriamente. Probabilmente perché sono un tipo silenzioso e poco attaccato alle pubbliche relazioni.
Lydia mi stupisce ogni volta. Si fida a tal punto e mi domando cosa ho combinato per meritarlo. Oltre ubriacarla, ubriacarmi e ricordarle i periodi più brutti dell'esistenza. Ci incontriamo così poco. Serve che si ustioni o si guadagni una pallottola. Poco è comunque qualcosa. È comunque meglio di niente.

Donna Winter ed io non siamo stati mai in così stretti rapporti lavorativi come adesso che s'è affrancata da Hall Point. La aiuteremo col trasloco, noi della Monkey. In oltre ha deciso di coinvolgermi in quel progetto spettacolare di organizzazione culturale. Se ho una debolezza scoperta, sono i libri. Sino alla cleptomania. Ovviamente sarà un segreto. Segreto, ancora. Vuole donare un libro di Wilde ad una biblioteca/museo di Corona. Sono perplesso, ma ammetto di pormi in modo parziale di fronte alle mie origini. La Parker Liang Library costituisce il non plus ultra. Istituita una cinquantina d'anni fa, dalla fondazione Rebbecca Parker Liang, ospita centinaia di opere di pregio, per lo più dal 2100 in poi. In poche parole: una fetta cospicua dell'arte del 'Verse colonizzato. Suppongo sia una delle mecenate più attive della nostra storia: esistono diversi Parker Liang Museum oltre quello di Corona. New London, Berishan, Elèria, Xhinion, Horyzon e persino Koroleva. Il museo di Koroleva sarebbe da vedere, prima o poi, se non altro per l'imbarazzante quantità di visionisti russi che raccoglie. Sembra assurdo pensare come un centinaio d'anni fa Koroleva raccogliesse l'avanguardia artistica del sistema multisolare.
Non vado ad una mostra da epoche immemori. Dovrei rimediare.