lunedì, febbraio 27

Little faith, follow me


scritto su carta, di getto, senza correzioni
[Hall Point, monolocale]


Ieri al Roadhouse ho incontrato Eir. 
Di nuovo. Fatico ad ammettere come quella donna mi sia rimasta piantata in fronte, dalla prima volta. Forse per la coincidenza del nome, forse perché è così simile a quello che io non sono più. O non sono mai stato. 
A William sarebbe piaciuta tantissimo. 
Magari, William ha influito. 
A cosa serve cercare spiegazioni? Non mi sentirò meglio, non mi sentirò migliore. 
Ha ragione lei: niente fa male adesso, che non abbia già fatto male un tempo.
Ed è vero anche il contrario: niente ha fatto un tempo, senza che torni a far male anche ora. 
Ma poi, è dolore? Oppure l'usato avvilimento nel constatare quanto ci sia di vivo al mondo, nello spettacolo a cui ho cessato di partecipare?
È  difficile chiedere il conto a se stessi. 


Ho reagito in modo assurdo alla promozione. Anzi, ho reagito in modo banale. 
Morfina. Non mi facevo da prima della Kijitsu.
In camera, le mie mani hanno deciso per me; chiusa la porta alle spalle, sapevo già come sarebbe finita. Ho raggiunto il frigo e ho scoperchiato il tesoro. 
Poi, ho trascorso un'ora in contemplazione estatica del soffitto.
Stavo bene. 
Non comprendo cosa scatti in me. 
Nessuno nelle mie condizioni, penso, lo comprenderebbe. 
C'è qualcuno, qualcosa, che abita tra la mia pelle e la mia coscienza, nelle intercapedini dello spirito, dell'intelligenza, e talvolta questo qualcuno,qualcosa prende le redini dei nervi e decide al mio posto. 
Io non lo impedisco, ma lo percepisco. Quando inizia a muoversi, quando si sveglia, quando striscia e ride. 

Non so: ero triste, al Roadhouse? Ero disgustato? Se la morfina precipita ed il sangue torna a scorrere pulito, la doccia gelida di verità, di consapevolezza, mi trascina in prossimità della prostrazione. 
L'ho baciata. 
O meglio, mi ha baciato. Lo sapevo prima che accadesse, come capita che io sappia tutto prima che accada.
 È  maledettamente viva. Non c'è un centimetro del suo corpo che si arrenda; ogni angolo di Eir è una battaglia, ogni fibra una resistenza, una forza selvatica. 
E questo mi annega. 

Non come con Evah. Con Evah è semplice, è un virtuosismo. Un lusso che non lascia tracce, non lascia segni, un vezzo pulito, ghiaccio su ghiaccio. 

Quando stamattina Eir se n'è andata ho finto di dormire. Non sapevo che fare. La polvere magica in mio possesso s'era esaurita già da qualche ora. Mi viene in mente Lydia, ed il suo paragonarci alle farfalle, alle loro ali. 
Eir è uscita. 
Sentivo un chiodo lungo quattro dita conficcato sotto lo sterno.