scritto e archiviato nella memoria dell'holodeck
[Hall point - monolocale]
Sono tornato a casa in condizioni pietose.
Pietose. Ho bevuto in maniera imprevedibile. Nessuna intenzione di ubriacarmi, in principio: è venuto da sé. Ora, dopo una mezz'ora radiosa passata in bagno e quattro caffè, comincio a carburare decentemente. Montezuma presiede le mie ginocchia in una profusione di fusa.
Ho passato la giornata su Greenfield, a cercare Verdiana. Niente, ovviamente. Adesso che avrei più urgenza di vederla, di capire, di parlarle.
Lui era innamorato, incredibilmente. Non gli credevo. Facevo male. Se penso a tutte le assurdità che gli ho sputato in faccia, presumendo di sapere. Sapere cosa?
Non sapevo niente. Non ho mai saputo così poco nella mia intera esistenza.
Forse, prima o poi, dovrò tornare su Corona. Andare dalla famiglia di William, andare al cimitero a trovarlo. È necessario; per me, per lui.
A volte mi capita di restare nel silenzio della stanza e sentire quella sensazione, quella tremenda sensazione avvertita durante il ricovero: quasi che la realtà sfrigolasse, simile ad una radio priva di segnale, ad un televisore in assenza di frequenze. E poi, da dietro un angolo, William che compare, che ritorna. Per fortuna le allucinazioni non mi fanno più visita dalla dimissione. L'esperienza si blocca lì, in una sorta di disturbo grigio e pressante che affoga dietro la porta del bagno.
Nessuna visione.
Se ricominciassero le allucinazioni? Gli incubi? Il sangue? Il panico?
Meglio non pensarci.
Verdiana non è rintracciabile, almeno con i miei mezzi scadenti. Forse dovrei chiedere a Donna. Possiede vie trasversali per risolvere qualunque problema. Sono certo che miss Winter la troverebbe per me. Ma non ho idea se, seriamente, sono pronto per un momento simile.