sabato, marzo 31

Closing walls and ticking clocks

scritto e archiviato sull'holodeck
[ Scarlet Pursuit - cabina ]


Non mi era mai successo, fino ad ora.
O forse sì, m'era successo, ma con gente di cui non conoscevo né il nome, né il volto.
Qualche sera fa Vergil mi ha mandato un messaggio audio sul pad per chiedere soccorso: lui e Mughain si sono messi nei guai.
Ero talmente fatto da non rendermi conto di nulla. Nulla.
Ho sentito tutto dopo, impiegando un paio d'ore a riprendermi (temo d'aver esagerato, sì).
Sono un coglione eccezionale, davvero.
Potevano morire.
Io...
È la prima volta che avverto, nel profondo, un'avversione animale per la morfina. Prima di oggi, non avevo mai avuto persone comprese nel mio cerchio vitale, sulle quali ricadessero le conseguenze allucinanti dei miei atti idioti.
In ogni direzione mi muovo, risveglio un casino. Devo esistere in solitudine, questa è la verità.
Cristo santo.

martedì, marzo 27

This revolution, baby, proves who you work for lately

scritto e archiviato sull'holodeck
[Hall Point - monolocale]



È  tornata.
Le ho dato il quaderno (che le è piaciuto), le ho dato il bracciale (che le è piaciuto meno).
Ieri, oggi ho vegetato a casa, non ho fatto nulla se non guardare fotografie, bere, fumare, dormire, morfina.
Molto tempo dall'ultima volta in cui ho riposato.
Riposato, poi.
Riposo?
Sono crollato in coma per venti ore, senza un bisogno, senza un sogno, senza un segno, niente.
(devo contattare Vergil: anticipare le partenze, lasciare questo posto)
Mi sono alzato a fatica, imbevendomi di caffé sino al midollo.
Adesso sono qui.
Nella stanza aleggia il suo odore, dappertutto.

domenica, marzo 25

Start a war

scritto di getto, su un foglio di carta, a caratteri imprecisi e fuori riga
[Scarlet Pursuit - cabina]



Io e Montezuma siamo sulla Scarlet.
Non potevo dormire in camera. Necessitavo d'un posto privo di ricordi, di esperienze.
Ho scritto a Brent per spiegare il mio punto di vista. Se Donna riterrà opportuno, mi farò da parte.
Dimissioni.
Non mi interessa. Hall Point non è casa mia.
Non è la mia famiglia.
Nessun luogo è casa mia, niente è la mia famiglia.
Un lavoro, un lavoro in cui sono bravissimo. Per cui vengo pagato il giusto prezzo.
Cosa mi è preso?
Ratliff s'è infuriato. Ovvio.
Non mi interessa.
Il cervello di Ritter non mi da pace: quale spettro m'ha indotto a cercare Roona Wilson?
Ero fuori di me. A livello generale, ho innegabilmente ragione. Il Roadhouse pullulava di gente, munita di occhi ed orecchie, gente di Horyzon, di Greenfield, ben piazzata per assistere al massacro, col biglietto di prima fila. Gente che non starà zitta per fare un favore allo skyplex, sicuramente.
No, logicamente la ragione milita al mio fianco.
Non mi spaventa il giudizio esterno. Non me ne frega niente.
È  il tribunale della mente, il tribunale intimo, che temo.
Il tribunale personale.

sabato, marzo 24

There's a body in the lake

scritto e archiviato sulla memoria dell'holodeck
[Oak Town - stanze saloon ]



Oggi Donna Winter mi ha caldamente consigliato di accettare delle ferie.
Ciò può illuminare un solo significato: sono davvero ridotto male. Il principale si preoccupa per la mia salute. Cristo santo. Si preoccupa sino a intimarmi di rimanere a casa, con affetto.
Finirò di gestire la questione dei vaccini, per non mollare Foster con l'incombenza di sbrigare tutto da solo e poi approfitterò delle 'vacanze' per sbattermi su Clackline.
Fotografare mi riposerà.
Credo.
Evah Adams s'è licenziata dalla Shouye e, ovviamente, viene a lavorare ad Hall Point. Certo!
Che meraviglia... Un'opera d'arte. Un'opera d'arte fatta coi carboni dell'inferno. Un inferno.
Mi scoppia la testa. Tra la calotta cranica e il cervello ho una mandria di bufali impazziti.
Ratliff pure, a modo suo, si cura di me. Ha chiaramente dato ad intendere che Evah è territorio proibito, a meno che non voglia ritrovarmi un proiettile in fronte, firmato da un fantomatico 'qualcuno'.
Sono votato al massacro fin da bambino.
Portato al massacro, per attitudine.

giovedì, marzo 22

Bullshit three, ring circus, sideshow of freaks

scritto a matita, sul retro di un libro
[presso Oak Town]



È andata. 
Andata.
Non so cosa mia sia preso. Perché ho dovuto (di nuovo) ferirla.
Ho bisogno, costantemente, del suo sacrificio sull'altare della mia crudeltà infantile. 
Vorrei ci fosse una motivazione plausibile, ma non c'è. Ci sono solo io, le parole al momento sbagliato, le azioni, le reazioni. Il vuoto. 
Sono innamorato di lei e devo fargliela pagare, credo. 
Fino ad esaurimento forze.
Ad esaurimento di noi.
Questa è la ragione. 

Per poco non ci ammazzavamo di botte alla festa di primavera.
Se Vergil non m'avesse trattenuto, non lo so...
(prima o poi m'arriverà un destro da Neville e quella sì, è la volta buona che mi sotterrano, coi fiori e la croce di marmo)
Io ed Eir abbiamo seriamente un problema. Ognuno con se stesso, l'uno con l'altra, ciascuno con l'universo. Tutto. Dovevo rivederla, lo desideravo; la desideravo. Poi eccola lì e... niente. La rabbia. 
Furiosa.

martedì, marzo 20

Monsters and men

scritto e archiviato sulla memoria dell'Holodeck
[Hall Point - monolocale]




Stamattina ho guadagnato coscienza con una ghirlanda di chiodi in testa. Un dolore pazzesco. Per fortuna Montezuma mi sollecitava il risveglio, affinché provvedessi al suo nutrimento.
E al mio.
Avrei saltato il turno di lavoro. Una cosa che non m'è mai accaduta, fin'ora, nonostante tutto.

Ieri è stata una giornata assurda.
Innanzi tutto, il ritrovamento di Abel.
Peserà sì e no cinquanta chili e se ne sta arrotolato su un lettino all'ospedale. Poteva andargli peggio. Sì.
Avevo difficoltà a parlargli. So a malapena gestire i rapporti umani in fase di quiete, figuriamoci quando hanno brusche accelerate o prepotenti precipizi.
Nella stanza lattea, ieri, ho avvertito per la prima volta da troppo tempo un vago senso di gratitudine nei confronti del niente. Del tutto. Per un attimo ho sperimentato un debito verso la realtà. Stavolta m'ha stupito, m'ha stupito positivamente.
Adesso farò il diavolo a quattro per dimetterlo e trascinarlo ad Hall Point. A lui non piace stare a Horyzon (come biasimarlo); lo terrò d'occhio in modo semi-opprimente.
Mi ci specchio, talvolta. Non lo so. Quel modo di sorridere sempre, comunque, per non imbattersi in problemi, rogne, per congedarsi con disinteresse dalle dinamiche sociali... la disillusione e, in un certo modo, la volontà incrollabile.
È  stato in guerra, come me. Ha perso qualcosa, qualcuno d'importante, ha attraversato diversi inferni. Eppure riesce a progettare, a godersi le cose. 
Esco davvero miseramente da un confronto con Abel.
La questione non mi urta affatto, sinceramente, ma è reale.
Il fatto che ogni tanto mi senta quasi responsabile nei suoi riguardi è, in definitiva, un'assurdità assoluta.

sabato, marzo 17

Le cavalier sans tête

scritto su un paio di fogli. la calligrafia è abbastanza scomposta. c'è qualche goccia di sangue (persa dal naso) sulla carta .
[Scarlet Phoenix - cabina]


"It's funny how beautiful people look when they're walking out the door"


Conoscevo la conclusione (una frase che ripeto all'infinito, lo so, ma pare l'infinito non basti ad insegnarmi qualcosa).

Eir mi ha detto che mi ama, due giorni fa. Io sono andato a letto con Evah, oggi. 
Abel è disperso in un buco di merda da qualche parte, vicino a Shadetrack. Forse è morto. 
Per poco non ci rimetto le penne, con quella maledetta morfina, stanotte. 
Ho perso sicuramente Eir, forse Abel.
Che senso ha? 

Abel, dopo Will, sarebbe troppo. 
Abel ha già fatto la sua guerra, ha già speso tutto. Ha già esaurito tutto. Perché? 
Perché non ci lasciano in pace? Me, lui, quelli come noi. 
Non lo sopporto. 
Ancora. 
Se avesse concluso di respirare: non l'ho avvertito. Nulla. Esistevo, nel mio stupido, futile universo mentre lui soffriva (soffre?) in un posto remoto, inafferrabile. Possibile? 
Se sapessi come, dove, andrei a cercarlo. 
Mi pare quasi di sentirlo, la sua strafottenza, la sua faccetta da schiaffi:
'Uno come te non mi troverebbe mai'. 
Ha ragione.
Forse Roona sì, però. 

giovedì, marzo 15

History of headaches

scritto di getto su un foglio di carta, la pagina bianca di un vecchio libro
[nei pressi di Oak Town]



(certi miraggi fanno più amaro l'abisso)

Stamattina aspiravo a veder sorgere la luce naturale, nella mia stanza. Come a Corona, quel regno di raggi che scivolava su dalla vetrata del terrazzo. Come a Capital City, quando l'alba mordeva i grattacieli con innocente brutalità. La allungavamo col caffé, con le idee stupide e biascicate, con le parole. 
Le parole, Will, le parole. 
Mi ha consegnato se stessa a mani nude, pescandosi in mezzo ai vetri, e l'ha fatto con le parole.
Con le parole. 
Le ha riempite ad una ad una di tutto quello che è, di tutta la sua cieca furia, del movimento dei suoi muscoli irrequieti, della sua sensibilità disarmata e disarmante, dell'odore dei suoi capelli, del suo alcolismo, della sua violenta bellezza da creatura ferita. 
Poi me le ha lasciate lì, dove non potevo ignorarle. 
Will che devo fare? 
Vorrei infilarmi le dita nel cranio, sino al centro del cervello. 
Scavarmi lo sterno, fino a toccare il cuore dall'esterno. 
Vorrei tornare a un mese fa e non appoggiarmi a quella porta, a parlare con una donna confusa, spettinata, un po' infantile. Una donna che sarebbe diventata la croce del mio corpo. Vorrei non aver mai avvertito, quella volta, il fondale dell'anima impennarsi, impercettibilmente. Vorrei non averla mai rincorsa, al casinò, per leccarle via qualche ferita, per laccarmi via qualche ferita. Vorrei non averle mai chiesto scusa. Vorrei non averla mai fatta piangere. Vorrei non averla mai fatta ridere, soprattutto. Mai. Vorrei non averle mai raccontato della guerra. Vorrei che lei non m'avesse mai raccontato della guerra. Vorrei davvero, averci rimediato solo un paio di gambe ed un paio d'occhi incredibili. Vorrei non aver mai medicato quello sfregio, mai saputo dei suoi segreti. Vorrei non aver mai avuto bisogno di lei, un lacerante bisogno di lei.

lunedì, marzo 12

Conscience

scritto e archiviato sulla memoria dell'holodeck
[Hall point- monolocale]


Oggi ho trascorso l'intera giornata con il cadavere della donna trovata ieri nelle fogne. Mi sono fatto sostituire da Foster, benché mi spettasse il turno pomeridiano; ha anche tenuto a precisare che non vuole essere rimpiazzato stasera e stanotte, in risarcimento. Deve avermi trovato piuttosto provato, non lo so. 
Sparare m'ha procurato un certo effetto. 
L'ultima volta che ho esploso un colpo d pistola contro un essere umano è stato al fronte. Non ricordo bene le occasioni precise, è accaduto in più momenti della guerra di dover uccidere con la benedizione d'un proiettile. Probabilmente però, l'ultima pallottola l'ho elargita a Serenity. 
Rammento il ragazzo, per esempio. Avrà avuto quindici anni, poco più. Il browncoat gli stava larghissimo, apparteneva al padre. Mi disse che ci doveva essere almeno un McCoy al fronte (incredibile, ricordo il nome) e da quando il suo vecchio era morto sul campo lui non poteva certo tirarsi indietro.

sabato, marzo 10

the never-ending why

scritto e archiviato nella memoria dell'holodeck
[Hall point - monolocale]


Sono tornato a casa in condizioni pietose. 
Pietose. Ho bevuto in maniera imprevedibile. Nessuna intenzione di ubriacarmi, in principio: è venuto da sé. Ora, dopo una mezz'ora radiosa passata in bagno e quattro caffè, comincio a carburare decentemente. Montezuma presiede le mie ginocchia in una profusione di fusa. 

Ho passato la giornata su Greenfield, a cercare Verdiana. Niente, ovviamente. Adesso che avrei più urgenza di vederla, di capire, di parlarle. 
Lui era innamorato, incredibilmente. Non gli credevo. Facevo male. Se penso a tutte le assurdità che gli ho sputato in faccia, presumendo di sapere. Sapere cosa? 
Non sapevo niente. Non ho mai saputo così poco nella mia intera esistenza.  
Forse, prima o poi, dovrò tornare su Corona. Andare dalla famiglia di William, andare al cimitero a trovarlo. È  necessario; per me, per lui. 
A volte mi capita di restare nel silenzio della stanza e sentire quella sensazione, quella tremenda sensazione avvertita durante il ricovero: quasi che la realtà sfrigolasse, simile ad una radio priva di segnale, ad un televisore in assenza di frequenze. E poi, da dietro un angolo, William che compare, che ritorna. Per fortuna le allucinazioni non mi fanno più visita dalla dimissione. L'esperienza si blocca lì, in una sorta di disturbo grigio e pressante che affoga dietro la porta del bagno. 
Nessuna visione. 
Se ricominciassero le allucinazioni? Gli incubi? Il sangue? Il panico? 
Meglio non pensarci.
Verdiana non è rintracciabile, almeno con i miei mezzi scadenti. Forse dovrei chiedere a Donna. Possiede vie trasversali per risolvere qualunque problema. Sono certo che miss Winter la troverebbe per me. Ma non ho idea se, seriamente, sono pronto per un momento simile. 

mercoledì, marzo 7

memory serves

scritto e archiviato sulla memoria dell'holodeck
[Kijitsu]

Queste giornate sono al limite di ogni senso. 
Trascorri due anni senza che avvenga assolutamente nulla e, d'improvviso, ti piove addosso l'esistenza senza pietà. Credo dipenda dal lavoro per Hall Point. 
Hall Point è un crocevia. Fare parte dello staff dello skyplex non ti da la possibilità di nasconderti. E la gente che lavora qui, i miei colleghi, sono tutte persone che trattano la vita senza guanti. E la vita restituisce loro la cortesia. 
C'è una sorta di accordo taciuto, di cameratismo, di solidarietà carsica che scorre profondamente senza rendersi manifesta.
Donna è protettiva, con il proprio alveare. Possessiva, verso il benessere dei suoi dipendenti. 
Non so se Abel se ne sia accorto, ma credo di sì. Io e lui siamo relativamente nuovi. Relativamente spinosi (ciascuno in maniera differente).
Abel. 
Il protagonista indiscusso dei miei pensieri, di recente. 
Non sono ancora riuscito a parlarci e temo che mai ci riuscirò. Credo che non voglia nemmeno parlarmi. E penso lo faccia, in un certo senso, per me. Lo capisco. Fino ad un paio di giorni fa ero divorato da un desiderio atavico di prenderlo a botte: se solo m'avesse detto quello che doveva dirmi, allora, quando gli raccontai di Eir.