lunedì, febbraio 27

Little faith, follow me


scritto su carta, di getto, senza correzioni
[Hall Point, monolocale]


Ieri al Roadhouse ho incontrato Eir. 
Di nuovo. Fatico ad ammettere come quella donna mi sia rimasta piantata in fronte, dalla prima volta. Forse per la coincidenza del nome, forse perché è così simile a quello che io non sono più. O non sono mai stato. 
A William sarebbe piaciuta tantissimo. 
Magari, William ha influito. 
A cosa serve cercare spiegazioni? Non mi sentirò meglio, non mi sentirò migliore. 
Ha ragione lei: niente fa male adesso, che non abbia già fatto male un tempo.
Ed è vero anche il contrario: niente ha fatto un tempo, senza che torni a far male anche ora. 
Ma poi, è dolore? Oppure l'usato avvilimento nel constatare quanto ci sia di vivo al mondo, nello spettacolo a cui ho cessato di partecipare?
È  difficile chiedere il conto a se stessi. 

domenica, febbraio 26

I'm not the hero out the gate, so much to feel, so much to gain

scritto e archiviato nella memoria personale dell'holodeck
[spazio, nave Kijitsu]



Il viaggio è una condizione esistenziale piacevole. 
Puoi sospendere ogni questione sino alla meta, puoi sospendere persino te stesso, metterti tra parentesi. Lasciata una sponda, non sei ancora approdato sull'altra. Transiti e forse sperimenti una primigenia forma di redenzione. 

A volte penso che avrei dovuto fare il pilota. O il poeta. 

Mi sono appena ritirato in cabina e sono stanco. È stata una serata movimentata: eravamo quasi giunti in prossimità di Willow, tanto che ho potuto lambirlo con gli occhi, oltre i vetri della Kijitsu. 
Nonostante la vicinanza, siamo dovuti tornare indietro: uno sciame meteorico ha danneggiato i sensori. Peccato, sul serio. 
Ho compreso, con una punta di disgusto riflesso, che fatico a provare paura. Non mi spavento mai, veramente, intensamente. Anche in questa occasione: non era il timore per la minaccia attuale a farmi tremare le dita, non era l'odore pungente del pericolo imminente... le mani fremevano in nome d'una sindrome antica, d'un terrore atavico e distante, il mostro in fondo all'abisso. Non sono in grado di emozionarmi per nulla di sensibile, di attuale; ogni contatto esterno sommuove una memoria ed e quella memoria a muovermi l'anima. È artificiale. È conoscere il mondo dietro una lastra di vetro. 
Quanto tempo è che la carne non si impenna in un brivido autentico?

venerdì, febbraio 24

breathe underwater

scritto e archiviato nella memoria personale dell' Holodeck
[Hall Point, monolocale]


Raramente mi capita di essere così brutalmente in me.
L'ultima volta che ho bevuto seriamente è stato un paio di giorni fa, quando la signorina Evans è venuta in cerca d'una panacea per il suo sonno latitante.
Da quella sera, salvo due dita di pessimo whisky ogni tanto, il mio stomaco ha sguazzato unicamente nel caffè. Eccessivo caffè. In compenso ho divorato quattro batterie di sigarette.
Per quanto riguarda la morfina ed i suoi amici, ho stretto i denti attorno alla mia dipendenza, fino a strozzarla, a scarnificarla. Oggi ho vissuto una giornata all'inferno. Sono tre giorni che sbatto la testa sull'anta del frigo e resisto alle lusinghe della siringa. Non è virtuosismo, non è convinzione morale: è il troppo lavoro. Orribilmente troppo lavoro.
L'astinenza mi scuote le ossa, ho crampi dappertutto, perdo liquidi come una lumaca lasciata al sole.
Le usate difficoltà respiratorie, il vomito, l'asma indotta; ogni volta che boccheggio mi pare di respirare sott'acqua. Per resistere in laboratorio, per fermare i tremori, ho tagliato il Daxepam e me ne sono iniettato qualche tacca provvidenziale.
Prima o poi ci lascerò le penne, con questo sistema. Lo so.
Il bello di essere un medico tossicomane è che conosci già il finale del film.
In ogni caso, da domani dovrei riprendermi. Le ore a venire, i sintomi andranno a calare.
Non ho mai detto d'essere intenzionato a smettere. Capiterà di nuovo, non me ne faccio un cruccio.

mercoledì, febbraio 22

like spinning plates

scritto su carta, inchiostro azzurro, qualche correzione, mano poco ferma.
[Hall Point, monolocale]


Montezuma ha ragione ad essere fatalmente incazzato con me.
Me lo dimostra infilando le sue maledette unghie dritte sotto pelle.
E' come avere un vitello a motore sulle ginocchia. Dannato gatto.
Mi staccherei la testa a morsi se già non mi bruciasse tanto da rendere l'operazione inutile. Devo scrivere, mi fa bene, lo so. Merito una qualsiasi morte dolorosa a discrezione del cielo (?).
Sono uno stronzo.

Vado su Greenfield tipo, l'altro ieri. Una vita, dall'ultima volta (davvero, quando?). Vago simile ad un imbecille per i campi e le vacche, con un tasso etilico orrendo: rischio l'autocombustione all'accensione d' ogni sigaretta. Poi mi passa la sbornia, e con la sbornia passa anche il sacro fuoco dell'amicizia.