venerdì, aprile 27

Racing like a pro

scritto e archiviato sull'holodeck
[ Hall Point - Monolocale ]



Ho fatto stampare due copie delle fotografie.
Quelle per Roona, le ho consegnate regolarmente nella cartellina nera, precise, impilate, tra l'odore fresco di inchiostro sintetico. Le mie giacciono sparpagliate sul tavolo dell'appartamento, fra le bottiglie vuote, un paio di fialette asciutte, polvere bianca e tabacco sbriciolato.
Le studio, una ad una; specialmente i ritratti.
Evito di guardare quella dell'ospedale. Tutte, ma non quella dell'ospedale.
M'hanno buttato fuori senza che avessi il tempo di reperire più prove (ovvio). Deve essere pratica comune, il commercio d'organi, quando sei considerato alla stregua d'oggetto da macello od esposizione.
Non mi indigno.
Indignarsi è così sciocco. Loro non si ritengono uniti dalla mancanza di libertà; gli schiavi di Clackline non percepiscono se stessi come un gruppo accomunato dall'oppressione e dalla privazione di dignità. Anzi. Tendono a rimarcare le differenze che li scindono in base a istruzione, censo, mansione: camerieri, attendenti, ballerine s'avvertono maggiormente prossimi ai loro padroni piuttosto che ai minatori, ai raccoglitori, ai braccianti agricoli. A loro volta, i manovali, quelli nati per lo sforzo fisico, non posseggono un'istruzione di base; a malapena riescono ad articolare quattro parole in inglese decente. Puntano a sopravvivere: la lotta per i diritti è ben lontana, quando combatti giornalmente in vista del pane e della perseveranza biologica.

martedì, aprile 24

Fake empire

scritto e archiviato nella memoria dell'holodeck
[New London - camera d'albergo]



Alla fine non sono andato al concerto, nonostante le ferie.
La verità: temevo di incontrare mia madre e mio padre. Ostentano sempre, specialmente Rachele, una certa passione posticcia per la musica. Salvo poi trovare da ridire su qualunque cosa, come qualsivoglia blasonato stronzo che si rispetti, cosciente di elargire pareri determinanti per posizione sociale. 
Io, che paradossalmente amo in sincerità certe cose, mi son dovuto tirare indietro per amore della pace mentale.
Impossibile tollerare il quadretto edificante di quell'ignorante di mio fratello a braccetto del nulla ornato di pizzo (sua moglie: non rammento nemmeno il nome): per Elia, fracassare due pentole o ascoltare Bach apre i medesimi scenari spirituali. Ma scaldare la poltrona ai concerti, sedersi sulle mondanità per rimarcarne il possesso, è pubblicamente obbligato, se sei un Ritter. 

Ho regalato il biglietto in prima fila a Neville; avrà tenuto alto l'onore della nostra nave presso il popolo femminile sopraggiunto all'esibizione.
Ming Li è davvero notevole; lo so. 
Donna Winter mi ha promesso che potrò strimpellare quel pianoforte mitologico. Spero, quanto meno, di non sembrare un maiale seduto su un trono d'oro, qualora capitasse (e farò in modo che capiti). 

sabato, aprile 21

You've used to be such a lion

fogli sparsi, scritti in un momento imprecisato
[Hall Point - Monolocale]



Situazione tipo: Eir parte per Safeport.
Se ne è andata da poco, a svenarsi con Presta che dimentica, con la sua casa piena di ricordi, con tutti i dubbi che le infilo in testa ogni giorno.
Non mi sono alzato dal letto per salutarla, stavolta no. Ho lasciato che si chinasse lei, che si congedasse in ultimo col primo bacio senza denti della nottata.
È sera. Di nuovo.
Montezuma (composto e stravaccato) mi scruta perplesso, mentre fatico a trovare una posizione al riparo dal dolore fisico, sciolto fra le lenzuola, con l'holodeck a portata di dita: Eir m'ha ridotto ad uno straccio, stavolta. Fisicamente. Se conto i graffi dentro la pelle, sul petto, sui fianchi, posso andare narrando da domani d'esser scivolato in una gabbia di pantere; o qualcosa di simile. Mi crederebbero, basterebbe sbottonare la camicia. Non oso pensare alla schiena; per fortuna non la vedo. Per sfortuna, la sento, però. La sento tutta.
Passo e ripasso la lingua sull'angolo della bocca, aperto in uno spacco dal sapore tutto particolare.
Ho messo su un po' di musica.
Non ci cascavo da tempo, nella trappola delle note. Troppa atmosfera pericolosa. Ho frugato negli scatoloni ancora intatti (intatti per dare all'esistenza il rassicurante senso di provvisorio, lo sradicamento che mi salva illusoriamente dalla conta delle responsabilità).
C'era un disco rigido (uno dei tanti) stipato di note antiche, d'un remoto passato prima della guerra, della tragedia. La stanza è vuota, a parte il mio respiro affannato, le fusa di Montezuma, il fumo rumoroso della sigaretta. Temo che compaia Will, da un attimo all'altro. Ieri è accaduto e domani accadrà, credo. Fino alla fine, accadrà.
Ma stasera no, dio no. Stasera no.

lunedì, aprile 16

The science of your days is laid bare


La tazza del caffé stiracchia fumo nell'aria al neon della cabina.
Ritter è sdraiato sul letto, la sigaretta piantata in bocca come l'ago di una meridiana. Fuori la nave, c'è Safeport. Safeport con i suoi cieli al sangue.
La testa è una matrioska, dentro fusoliere in metallo lucido. Dentro la stanza. Fra uno strato e l'altro si muovono differenti gradi di realtà, tempi diversi, cose visibili ed invisibili. Chiudere gli occhi non spezza il cerchio alla testa. Un cerchio da cui si sporgono, come dalla volta affrescata d'una cattedrale, le assurdità della sua vita in forma umana. Lo indicano, gli sorridono. Il cuore batacchia in creste viscide, le trascina a galla.
L'illusione del controllo, svanita. Pezzo a pezzo l'armatura si accascia a terra in un rumore graffiante, che ferisce le tempie.È notte? È giorno? Ha senso parlarne? Eleazar si strofina il volto, su cui ombre dense cercano riparo dalla luce rarefatta del locale. Il silenzio spazza attorno ai suoi pensieri, negli angoli, con metodo. Allunga una mano, si procura il caffé, ne ingoia un sorso profondo, il calore ruscella fra gli interstizi dei tendini, delle fibre muscolari. I respiri inarcano le costole, l'addome, sino al ventre scandito di ossa.
La stanza vuota pullula di energie irrequiete.

domenica, aprile 8

You and whose army

scritto su un paio di fogli sfusi, con la stessa penna ma calligrafia non sempre uniforme. il luogo è incerto e probabilmente ogni parte è stata redatta in posti differenti.


Abbiamo passato la notte assieme, al ranch.
Non la aspettavo; o meglio, la aspettavo ma non credevo sarebbe arrivata.
Si è insinuata fra me ed il mio stabile nulla senza chiedere il permesso. Il problema: Eir porta a galla sensazioni sommerse nelle fosse della mia incoscienza consapevole, sensazioni, desideri che non posso permettermi di desiderare, perché funzionanti solo su lungo periodo.
Io non ho lunghi periodi di fronte.
Lei lo ignora. Si ripropone di non affrontare la realtà.
E mi serve l'entusiasmo, il futuro possibile, in modo crudele e candido, aprendomi i denti coi denti e lasciando che l'amore sconsiderato mi scivoli in bocca, nel petto, fino al basso ventre.
A volte la odio.
Un odio esasperato e possessivo.
Eir rende insopportabile l'esistenza rassegnata e leggera a cui m'ero abituato. Anzi, a cui m'ero addestrato con cura. Non è facile, c'è di mezzo la clinica. Non sono mai stato un entusiasta. Ma dover fronteggiare lo squilibrio mentale m'ha armato di un'indifferenza corazzata. Un disinteresse tagliente e incrollabile nei confronti del domani. Niente deve entrare, perché tutto, tutto, può provocare un immane effetto farfalla e spiantare il sistema difensivo alle radici.
Oramai le mura grondano falle, lo so.
Ha ficcato le dita dove ha trovato una crepa e m'ha graffiato la schiena fino a che non l'ha schiusa a sufficienza per infilarsi oltre la barriera.
Lei ed il suo esercito.
Il suo esercito di cose per cui vale la pena non morire.

martedì, aprile 3

My god damned Damaris


scritto e archiviato sulla memoria dell'holodeck
[ Scarlet - cabina ]

A breve torno a lavoro. 
Un bene: impegniamo la testa.
Devo gestire diversi progetti per hall Point.
Gli upgrades dell'infermeria, ad esempio.
Ho proposto a miss Winter il progetto sulla psichiatria, sulla consulenza psicologica. Pare averlo accolto in maniera positiva. Foster ed io ci stupiamo sinceramente del numero imbarazzante di spiantati che ci capitano tra i piedi. Non è raro che mi porti la weyland in studio. Foster è meno sospettoso nei confronti dell'umana natura.
Tra un caffè e l'altro, mi ha interrogato se avessi la testa per un lavoro simile: gli ho mentito (magistralmente), dicendo di sì. Le competenze accademiche non mancano; il mio internamento in clinica costituirebbe un handicap sufficiente, però.
Di recente ho sfogliato il diario che la dottoressa Kaprow mi impose di stendere su Elerìa.
Non l'avevo mai fatto, negli anni successivi alla dimisisone.
L'assenza di Eir mi porta a compiere gesti inconsulti.
O forse è la sua presenza, non lo so, a rendere tutto inconsulto.
Già.
Rileggermi non è stato semplice.
Ho avuto lo stomaco di ingoiare un paio di pagine, forse.
Basta.