mercoledì, maggio 30

Set fire to the rain



-Ho intenzione di sposarla, Ritter
William sta in piedi, la schiena appoggiata alla balaustra del terrazzo, alle sue spalle il buio incombente, straziato dalle meravigliose luci di Capital City. Sono entrambi sul tetto della palazzina in cui abitano, da anni, il tetto sotto al quale si sono incrociate e fuse assieme, specchiate le une nelle altre, tutte le loro esperienze. Fino ad adesso.
Will è accartocciato nel proprio maglione rosso, quello che lo vestirà costantemente anche nei ricordi. Nelle allucinazioni. Quello delle cose importanti. Ha tagliato i capelli, i bagliori remoti delle insegne, dei lampioni, dei neon covati negli edifici rimbalzano tra le ciocche precise, nette. Prepararsi alla guerra, si comincia dalle piccole cose. La barba bionda gli incornicia il mento, si bagna del riflesso della sigaretta accesa. Gli occhi celesti, solitamente enormi, sono acquattati in un'insonnia nervosa, aggressiva e minacciata. Fissano il vuoto, le antenne in metallo, senza vederle davvero.
Eleazar è lì accanto. In lui, l'insonnia è sfacciata e si siede al centro del volto con languida noncuranza, con disperata abitudine. I capelli paiono piuttosto lunghi, piuttosto reticenti alla quiete, agitati dalla brezza notturna. Sta fumando. La camicia bianca non basta, evidentemente, a schermarlo dai respiri pungenti di Horyzon. Non risponde. Lo sguardo è una linea implacabile, l'ennesima, tra le altre del volto angoloso, glabro.
Sembrano quello che sono: due amici reticenti a dirsi addio, che recriminano fino all'esasperazione, che recriminano sino a potersi concedere il lusso di abbandonarsi senza salutare.
Sino alla rabbia.
-La sposo prima di partire
William specifica, gettando la cicca a terra e guardandola languire. Uno scarto delle pupille, la lingua che fugge tra i denti, pianta l'attenzione su Eleazar, in un cedimento annunciato. La sua emotività sprizza dai pori della pelle, se ne sente quasi l'odore nell'aria.
- Ritter...
Eleazar non muove un muscolo. La sigaretta brucia con costanza tremenda, il fumo s'agita schiaffeggiato dal vento, mentre incassa la vita con deprimente abbandono. Infila le dita in tasca, si affoga i polmoni di catrame e d'ossigeno. Un sorriso vano gli scala la guancia, e si assicura tutto lo spazio necessario a seminare l'indifferenza, la vendetta. Vendicarsi, di cosa?
Non lo sai. Hai ventisei anni, sedici all'anagrafe del cielo, al banco dello spirito, non riesci... non riesci a porre ordine, a comprendere. A razionalizzare, a sciogliere i nodi, le cime per mollare gli ormeggi.
Non riesci a scioglierle allora le tagli, le traci, con quella smorfia al serpente, a colpi brutali, violenti, folli che schiantano la carne, le funi, i nervi, le ossa.
-Non l'ho ancora detto a nessuno... A parte te
Ritter si stacca dalla sbarra in metallo. L'avverte che si scioglie lungo le vertebre, il ghiaccio gentile degli occhi di Will, l'isola scura che affiora tra le labbra. Il proprio silenzio, consapevole, sprezzante, si dispiega dietro di lui: un paio di ali di spine.
- Ritter!
- Che c'è?
Esiste un attimo in cui la realtà si strappa sotto gli angoli della verità in crescita, in esubero. Come la calza di un funambolo in un'acrobazia, come una busta di carta bagnata. Come un quadro rimasto appeso per decenni alla parete, per secoli, che improvvisamente frana a terra. 
Hai vissuto la vita con una granata inesplosa sul comodino, in tasca. ed un giorno la granata decide di scoppiarti tra le dita, accanto alla testa. 
Si fissano.
Fa freddo, sono il centro d'una ruota confusa, indifferente di luci. I gusci del mare giungono a spezzarsi sino alle sommità dei grattacieli. Quanta gente si sta infilando la divisa , quanta gente sta piegando maglioni in una borsa troppo piccola, sta allacciando gli anfibi, sta scrivendo lettere, quanta gente si sta chinando per un bacio in fronte, per un rosario, per una preghiera; quanta gente sta trascorrendo un'ultima notte con la persona più importante, dentro un locale qualunque in esorcismi e voti alcolici, quanta gente pulisce il fucile, quanta gente innalza barricate, lascia passare le dita su un quadro comandi, sul corpo di una donna, sulla parete anonima di una casa.
Una preparazione rumorosa, una tensione solida, scuote l'universo.
Si ha l'impressione di assaggiarlo dall'aria, un filo affilato che attraversa i pianeti, pianeti che sono perle d'una collana assemblata a caso, pianeti trafitti da parte a parte, in tutto il 'Verse, il 'Verse che si piega covando un urlo spaventoso. Lo senti, l'urlo in preparazione, oltre il buio siderale, quando sei solo, quando volti d'un tratto la testa nel vento, nel vuoto e il vuoto ti guarda in faccia.
Eleazar fissa William e William fissa Eleazar. Le parole prudono, sino a graffiare.
- ...Perchè devi sempre comportarti così? Eh? Non potresti... semplicemente, solo...soltanto essere felice per me, una maledetta volta? Una... volta!
Ma non gli sta chiedendo esattamente questo. Forse ha bisogno di una certezza, il cerchio delle iridi vibra d'una violenza confusa, la pelle si agita sotto al maglione rosso, l'oscurità su cui appoggia la nuca cresce sollevata come un onda. 
- Vuoi che sia felice per te? Va bene. Sono felice, contento?
Si graffiano il viso in una schermaglia di sguardi scoperti. 
-Sei solo un stronzo Ritter, sei solo uno stronzo viziato. 
Eleazar scoppia a ridere; la risata suona simile al permafrost incrinato sotto una trave d'acciaio. Scaraventa a terra la sigaretta, si avvicina, gli sbatte in faccia il proprio nulla addestrato ad arte. 
- Ah sì? Stronzo viziato? Sto parlando con la stessa persona che s'arruolerà per poter posare con un browncoat addosso e la barba da rivoluzionario, la stessa persona che si sposerà per rendere la partenza una deliziosa orgia drammatica da romanzo? 
-Che...che...
-E tu dici stronzo viziato a me? A me? Che cosa ne sai tu della sofferenza, della morte della guerra... per te è tutto un maledetto palcoscenico, Keynard...
-Non...non...non è...
- Un palcoscenico dove portare in scena la storia di un giovane eroe scapigliato, pieno di... pieno di amore, pieno di altruismo, di speranze brillanti, di talento, di bellezza... e gioia di vivere, davanti a cui tutti, TUTTI si commuoveranno...batteranno le mani estasiati, si strazieranno di ammirazione, di affetto. davanti a cui sverremo uno dopo l'altro adulando la sua intelligenza, la sua umanità, la sua profondità...
-RITTER smettila! 
William rovescia in campo i propri occhi umidi, lucidi di fiamme e di lacrime. Eleazar cavalca con assurdo cinismo il fiatone che gli bussa nel petto. Se l'anima esiste, le loro anime sono fuori dai bordi e aspirano a sbranarsi, a ridursi ai minimi termini. 
- Sei patetico, è tutta la vita che cerchi di dimostrare a te stesso quanto sei speciale, che ti disperi al pensiero di scoprirti una persona banale, normale, esattamente come tutte le altre...
- AH SÌ? AH... SÌ? - Will accorcia la distanza, incalza - Lo sai qual'è il tuo problema Ritter? Che sei solo, solo come un cane, sei rimasto solo, senza nessuno; e ci creperai solo. Completamente solo per colpa del tuo carattere del cazzo, della tua cattiveria, e se non lo sopporti, perchè non lo sopporti, sono cazzi tuoi, cazzi tuoi, imbecille del cazzo.
Eleazar gli butta un palmo al petto, lo spinge indietro, attraversa lo spazio che Will si lascia indietro svicolando. 
-Lasciami indovinare, lasciami indovinare, quanto ti crede un genio la tua puttana, quanto ti ammira, per averti convinto a sposarla eh? Eh? 
-Come l'hai chiamata? 
-Puttana l'ho chiamata, qualche problema?
-Ritter...
-Che, forse ti sei mai trovato qualcosa di diverso da puttane che ti compravano facendo due moine alla tua scarsa autostima? 
-Ritter...
-Vengono lì, ti fanno sentire importante, ti fanno sentire unico, incredibile, e tu le ami alla follia, le ami alla follia ogni dannata volta.
-Eleazar...
-Una puttana. E se me la lasci dieci minuti te lo dimostro. 
Ritter è in terra, col naso spaccato, ancora prima che William sappia coscientemente di avergli piantato un pugno in pieno viso. Il pavimento gelido esala brividi lungo la schiena, mentre una striscia copiosa di sangue attende solo il segnale adatto per evadere, un colpo di tosse annaspato per ruscellare giù dalle narici, sulle guance, sulle labbra, sulle piastrelle, ad incoronare la sua testa riempita di schizzi doloranti, di bolle incoscienti, di circuiti bruciati, di ponti saltati. 
William accarezza le nocche, il destro che lo ha difeso dallo scempio emotivo. Fissa l'altro, affogare nell'incoscienza, dibattersi, frugare tra i cocci del cervello in un marasma ferroso. 
Asciuga il viso, traversato da scie salate, con la manica del maglione rosso. 
Prende fiato, quasi fosse l'ultima volta, quasi fosse l'ultimo bicchiere d'aria a disposizione. 
-Vaffanculo. 
La valigia è già pronta. 
Non gli resta che scendere le scale ed andarsene.






-Non c'è mai stata nessun'altra. Non ci sarà mai nessun altra.
-Non basta. Non quando hai ancora il suo odore addosso.
-Sii felice, ti prego.
- Mi togli tutto, e dovrei essere felice?
Vaffanculo.



- Non so se questa è la felicità...Se adesso è la felicità...Qualunque cosa sia... la aspettavo da una vita. Per tutta la vita, non ho fatto altro che aspettarla. Aspettarti. E... tutti gli sbagli... tutto... il vuoto...Dio...Impediscimi di rovinare tutto...
- E' felicità. Eleazar Ritter, io ti amo, e ci sarò sempre, sempre, sempre per te...







*scritto su un foglio di carta macchiato, parzialmente spiegazzato
[ Greenfield - Almost Home ]


Gliel'ho detto, giorni fa, nell'officina di Presta, dopo essermi meritato l'ennesimo schiaffo, l'ennesima sfuriata alcolica, l'ennesimo massacro, dopo averla lasciata sfogare su di me. 
Prima di stenderla sul tavolo e staccare il cervello tra le sue gambe. 
Gliel'ho detto, che la odio. Perchè m'ha reso impossibile vivere, impossibile morire ed obbligatorio scegliere.
E gliel'ho ripetuto, fino allo sfinimento, nello sfinimento, che l'avrei sposata comunque. Comunque. Anche se Jack Rooster non m'avesse minacciato con un revolver, se non m'avesse spinto a bruciare le tappe, a gettarmi nel vuoto. Il vuoto, le tappe che non sapevo di dover percorrere, di voler percorrere; finché, completamente stremato di brividi, di paura, prostrato dall'astinenza, in maglietta dentro l'aria gelida di Safeport, ho guardato Eir Sterling ed ho capito. 
Ho capito e non è stato difficile. 
Sposami, sì. 
Sposa me, le mie debolezze, le mie dipendenze, la mia rabbia, i miei incubi, la mia pazzia, le mie complicazioni, i miei silenzi, le mie fughe. 
Non solo Eir sta riempiendo di senso il presente, ma persino il passato. La guerra. 
Non solo sta riempiendo di senso il passato, ma persino il futuro. Pretesa dopo pretesa. Non firmerà mai una pace. Lei vuole vincere, vuole vincermi, contro la necessità, contro il destino. 
Ho cercato di scappare, m'ha rincorso. Ho cercato di cacciarla, è rimasta. Nell'umiliazione, nella disperazione, nella violenza. A Maracay siamo stati quasi due giorni assieme, chiusi nella piccola stanza della pensione in cui abitavo. L'umiliazione, la disperazione, la violenza non esistevano più. 
Mi arrendo. 
Sono suo. 
Le ho infilato al collo la piastrina che ho riportato a casa, assieme alla pelle, reduce dal fronte. 
Consegnarle quel che era rimasto di me dopo la guerra, consegnarle le mie battaglie (tutto quanto), dichiarare che se c'è un soldato in me, quel soldato combatte per lei, con lei, ed è lei ad averlo risvegliato.
Ad averlo resuscitato. 
Sul campo di battaglia.

Jack Rooster è un genio.