sabato, aprile 21

You've used to be such a lion

fogli sparsi, scritti in un momento imprecisato
[Hall Point - Monolocale]



Situazione tipo: Eir parte per Safeport.
Se ne è andata da poco, a svenarsi con Presta che dimentica, con la sua casa piena di ricordi, con tutti i dubbi che le infilo in testa ogni giorno.
Non mi sono alzato dal letto per salutarla, stavolta no. Ho lasciato che si chinasse lei, che si congedasse in ultimo col primo bacio senza denti della nottata.
È sera. Di nuovo.
Montezuma (composto e stravaccato) mi scruta perplesso, mentre fatico a trovare una posizione al riparo dal dolore fisico, sciolto fra le lenzuola, con l'holodeck a portata di dita: Eir m'ha ridotto ad uno straccio, stavolta. Fisicamente. Se conto i graffi dentro la pelle, sul petto, sui fianchi, posso andare narrando da domani d'esser scivolato in una gabbia di pantere; o qualcosa di simile. Mi crederebbero, basterebbe sbottonare la camicia. Non oso pensare alla schiena; per fortuna non la vedo. Per sfortuna, la sento, però. La sento tutta.
Passo e ripasso la lingua sull'angolo della bocca, aperto in uno spacco dal sapore tutto particolare.
Ho messo su un po' di musica.
Non ci cascavo da tempo, nella trappola delle note. Troppa atmosfera pericolosa. Ho frugato negli scatoloni ancora intatti (intatti per dare all'esistenza il rassicurante senso di provvisorio, lo sradicamento che mi salva illusoriamente dalla conta delle responsabilità).
C'era un disco rigido (uno dei tanti) stipato di note antiche, d'un remoto passato prima della guerra, della tragedia. La stanza è vuota, a parte il mio respiro affannato, le fusa di Montezuma, il fumo rumoroso della sigaretta. Temo che compaia Will, da un attimo all'altro. Ieri è accaduto e domani accadrà, credo. Fino alla fine, accadrà.
Ma stasera no, dio no. Stasera no.



Died in the war you have been cornered by your natural desire
You wanna hop along with the giddy throng through life
How are you meant to steer when you're grinding all your gears?

Le vertigini, sì. Ho grattato tutte le marce. Eppure eccomi qua; sopravvivendo, privo del'orgoglio del sopravvissuto. Donna Winter lascia Hall Point. Mi sono deciso a scriverle un messaggio scoperto, in cui la ringraziavo per l'opportunità che mi concesse, in passato, assumendomi. Io non me la sarei accordata, conoscendomi, vedendomi. Un tossicodipendente, con trascorso psichiatrico (sono sicuro, in fondo, che lei lo sappia), senza una famiglia alle spalle, senza una garanzia.
Eppure, eccola lì, col sorriso più delicatamente spietato, più gentile e riempito di intelligenza che abbia mai incrociato. Donna Winter è sempre un passo avanti a te, ma muove quel passo con tale implacabile grazia da lasciarti intendere che, nel precederti, intende solo risparmiarti brutte sorprese. Non so la ragione per cui abbia ceduto la posizione. Evito di riflettere in merito.
Brent è l'uomo adatto, il solo possibile, nel sostituirla. Brent mi somiglia; al contempo è diametralmente differente da me. Io sono capriccioso, quanto lui è oculato, razionale. Io sono un emotivo represso, lui è un cerebrale al suo massimo splendore. Lui è il migliore alleato di se stesso, io sono il peggior nemico di me stesso.
Donna Winter lascia Hall Point. Foster non s'esprime. La questione lo urta.
Urta anche me.
Donna m'ha donato una copia originale de 'I Fiori del Male'. Per poco non crepo d'arresto cardiaco. Originale e completa. Dopo l'orgasmo, dopo la morfina e la rabbia, avvertirne la concretezza delle pagine d'un capolavoro fra le dita è una delle sensazioni fisiche più violente sperimentate negli ultimi anni. Non c'è una roba del genere, in tutto il 'Verse. Posseggo la versione integrale d'un miracolo. Solo io. Capogiro.
Donna Winter mi ha regalato questo libro per quello che sono stato, per quello che ho rappresentato giorno dopo giorno. Sapere d'essermi guadagnato qualcosa di tanto prezioso mi stringe al collo il cappio della responsabilità, del dubbio.
Per rincarare la dose, Brent ha deliberato di promuovermi a Coiner. Adesso sono cazzi seri, molto seri. L'infermeria è nelle mie mani. Appartengo all'esistenza delle persone. Devo rassegnarmi. Devo.
Fatico a riconoscermi, sì. E la fatica inizia a piacermi.

You have been talking for hours
You said time will wash every tower to the sea
Now you have got this worry in your heart
Well it guess its all life is all natural
We all spend a little while going down the rabbit whole
The things they taught you come back to hunt you
They got your back against the wall
Call you on the telephone, won’t you pick up the receiver? 

Mi ha scritto che ha bisogno di me. Lo sapevo, che aveva bisogno di me. Capisco che, per ammetterlo, abbia impiegato molto tempo, molto coraggio, molta cecità, molto amore.
Ha ragione: concedere che morirebbe al mio posto pare riduttivo.
È assai più impegnativo constatare una necessità tanto impellente da strapparti la promessa d'un 'per sempre'. Il tempo sì, il tempo, col tempo porterà il mare a bagnare tutte le torri, di nuovo. È così che dice la canzone? Mentre parli, parli per ore. Le cose che t'hanno insegnato tornano indietro per darti la caccia, per appenderti al muro. È vero. Ti hanno insegnato la rivoluzione, adesso hai una rivoluzione da fare. Sei costretta da un cuore grande, gonfiato di idee e passione, di parole, di sogni. Una rivoluzione. La più semplice, quella che t'aspetta là fuori, nelle strade, fra le case, nella tua sala macchine; la più difficile sono io. Lo sai. Non ti aiuterò a rendermi migliore. È la tua guerra, questa, la tua guerra in me.
T'aspetto a casa, spero tu torni vincitrice. Lo spero tanto.
Le ho mandato una lettera assurda, lo stomaco precipitato dalla vertigine dell' astinenza, la testa esplosa in un mazzo di chiodi affilati. Una lettera tristemente sincera. Sbattendole in faccia le mie fragilità nascoste. Disarmato. E stupidamente poetico. Perché, in definitiva, sono un cazzo di poeta senza poesie da rimare.
Ieri sera è piombata alla cena su Hall Point. Non mi divertivo così da secoli. Ho faticato a smettere di ridere a pasto concluso, rincorrendola nel corridoio, sotto le sue spine rabbiose, i suoi morsi, stanotte. Non so perché. È stata meravigliosa. Meravigliosa.
Se fossi vivo Will, per vederla, per raccontartela.
Ha infilato la testa in una tazza di Core; la sconvolge non aver trovato fiele, ma banalissimo latte.
Sono innamorato come un idiota. Serrandole il polso fra le dita, cerco il bracciale che le ho regalato. Come marcare un territorio, un possesso. È mia. Mia. 

You've used to be such a lion 
Before you got into all this crying on my lap 
Back when you Thought I would never get this far 
But did your really think I shut an open door?

Jack Rooster mi ha chiesto di aiutarla con la paura del buio. Il buio la atterrisce, la cala nel panico. Rooster è una delle poche persone, durante l'esistenza, che m' ha ispirato una simpatia sfrenata al primo incontro. Una stima, ecco. Nonostante la Almost Home, nonostante lo spettro di Eir minacciata da milioni di pericoli improvvisi, nonostante le ribellioni e i cappotti marroni.
Sono un ipocrita.
Le visioni tornano, la rabbia torna, torna Serenity, farcita di incubi riempiti di morte, Serenity con le sue piaghe aperte a suppurare nel sole dell'esistenza... ed io, cosa combino? Psicanalizzo una persona. Io. Un ex psichiatrizzato mai rinsavito, un matto che ha recentemente revocato l'armistizio stipulato anni fa col proprio mostro. Perché? Psicanalizzo una persona le cui bestie provengono dalle medesime terre da cui ascolto arrivare, ogni notte, le mie.
Sono un cretino. Davvero. Voglio aiutare Rooster; voglio aiutare me stesso. Che maledetto presuntuoso. Presuntuoso. Egocentrico. Credo di disporre delle forze per riuscire, mi stimo a tal punto da ritenermi in grado di tirarci su dall'inferno entrambi? Guarire. Già.
Suo fratello morto, accanto a lei, nell'oscurità silente, per una settimana. La medesima settimana in cui mi trascinai sul campo, tastando polsi nei mucchi di cadaveri, in un carnaio privo di respiro. Quella settimana senza speranza, senza luce, una terra di nessuno temporale fra l'armistizio e la pace. Nessun rifornimento, nessuna notizia, privi di mezzi, di guida, di senso. Un interregno orribile, all'interno del quale tastavi con mano quanto la forma delle parole storiche aleggiasse chilometri sopra la realtà del vissuto, dello sperimentato.
Rooster crede che in guerra dovrebbe tornarci chi non ha nulla da perdere, ovvero chi sia privo di futuro. L'ho sempre pensata come lei. Partire, lasciando ad attenderti un individuo che ti ama è schifoso egoismo, vanagloria, masturbazione mentale. Allora, ero il candidato perfetto. Perfetto. William... William possedeva Verdiana.
Al di là dell'ideale, ero progettato per il fronte. Lui no.
Assurdo che Ritter sia tornato e Keynard sia interrato con le proprie alte speranze, in un sepolcro salato di lacrime. Ero solito essere un leone, sul campo di battaglia. Forse anche Jack. Efficienti, ognuno a proprio modo. Adesso cosa resta? Cosa?
Una tale rabbia fiera, genuina, solare; non la rabbia di adesso.
Oggi ho incontrato Amelie Saint Laurent, al saloon. Saint Laurent, la figlia di Gaston Richard Saint Laurent, uno dei più noti medici genetisti della nostra generazione. Incredibile. Me lo ricordo, come a distanza d'un giorno: avevo ventiquattro anni; lui imbastiva i propri prestigiosi seminari in cattedra, di fronte agli studenti sufficientemente pazzi da andargli dietro. Ed eccomi, il solito spocchioso: non solo lo seguivo con protervia, ma pretendevo persino di scavalcarlo (che cretino, cristo santo). Oh, la simpatica mania di pisciare ringhiando sugli spigoli dell'intelletto e marcare per primi il territorio, in una perenne ansia da prestazione! Quanta pietà. E quanta forza sincera. Adesso mi pare davvero ridicolo: ci discussi un'ora, di fronte alla platea basita, sibilando al microfono l'intero scibile, persino l'ipotetico, riguardo le Dna-polimerasi-Rna-dipendenti. Che poi, parliamoci chiaro, non me ne fregava niente, nemmeno allora (comprensibilmente). Ma Saint Laurent era i mostro sacro, l'idolo d'oro, ed io il giovane genio scapigliato in mezze maniche (?). Lui aveva la tracotanza marmorea del dogma, io l'arroganza verde dell'immaginazione.
'Ritter, lei è l'intelletto più fulgido e peggio sprecato che abbia mai conosciuto' Me la ricordo ancora, la sua frase compassata, ineludibile, spietata. Lo odiai; lui aspirava a farsi odiare, perchè solo per i grandi si prova odio. Senza mezzi termini. Adesso mi rendo conto che Saint Laurent fu profetico. Non tanto per la genetica, per il contenuto delle nostre teorie discordi. Quanto perché, in onestà assoluta, nessuno sperpera peggio di me le proprie potenzialità. Nessuno.
Per fortuna, Amelie ha preso dalla genitrice (che ho sentito suonare in un paio di rare occasioni, da ragazzino). Magari possiede la spaventoso cervello di suo padre e il talento artistico di sua madre; oltre la  bellezza fuori del comune. In tal caso prevedo porterà in giro un bel po' di scompiglio. Un bel po', sì.
Larousse ha risposto al mio messaggio. È felice di ricevere notizie (benché si sia sempre tenuto vagamente informato sul mio conto); s'è ritirato dall'insegnamento, non battaglia più, non rema contro corrente. Vecchio, ammette. Mi ha invitato a cena su New London, nella propria dimora. Con la propria famiglia. Gli farò una grossa sorpresa sbattendogli sul tavolo la ricerca che ho trafugato dall'archivio universitario. La nostra ricerca.
Ci andrò, devo solo capire quando.
E, soprattutto... da solo?

The future's calling and I'm gonna answer her
The wheels in motion, I never drank your potion
And I know it breaks your heart
Open up your parachute, something's gotta stop the freefall

Mi sono buttato in rete, in biblioteca. Ho raccolto quanto più materiale potevo su Clackline. La partenza si approssima, stavolta sul serio. Abbiamo rimandato abbastanza. Sono successe troppe cose, troppi ponti saltati, troppe mine vaganti. Mi sono procurato un libro scritto da una giovane schiava (adesso sarà morta, o molto anziana) Lillian. Lillian e basta, non posseggono un cognome. Lei non lo possedeva. Si intitola 'Il conto delle catene'. Sono intenzionato a leggerlo stanotte, fra una poesie di Baudelaire e l'altra, giusto per amalgamare il velluto e la polvere in proporzioni disordinate.
Poi lo presterò a Roona.
Se sfodero il paracadute, qualcosa sfonderà la vertigine, esorcizzerà il precipizio. Ho scoperto che, tempo fa, ad Horyzon aprirono un fascicolo sulla sparizione di Ellen. Ne ho trovato traccia nei giornali di allora, nei vecchi rapporti di sicurezza di Hall Point. Non riesco a reperire una sola immagine, di questa donna. Una sola foto. Una sola testimonianza. Basterebbe un nome, una collega, un amico, un agente. Qualunque cosa. Era così giovane... quarant'anni dentro le fogne dello skyplex. Quaranta. Trenta. Quaranta. Poi, arrivo io e gli sparo. Lydia ha ragione: era già morta.
Ma è così facile, discettare col sangue di qualcun altro.
Sono confuso.
Confuso. 

I've been down the very road you're walking now
It doesn't have to be so dark and lonesome
It takes a while but we can figure this thing out
And turn it back around

Non è necessario che vada tutto male. O no? Insomma, mi faccio di blast per stare dietro ai ritmi lancinanti della mia esistenza, mi faccio di morfina per riposarmi dal blast e di blast di nuovo per riprendermi dalla morfina che m'è servita per atrofizzare le visioni. Al bisogno, la meth per affondare la paranoia. Però...
Insomma, non è necessario vada tutto male.
O no?
Mh.