domenica, aprile 8

You and whose army

scritto su un paio di fogli sfusi, con la stessa penna ma calligrafia non sempre uniforme. il luogo è incerto e probabilmente ogni parte è stata redatta in posti differenti.


Abbiamo passato la notte assieme, al ranch.
Non la aspettavo; o meglio, la aspettavo ma non credevo sarebbe arrivata.
Si è insinuata fra me ed il mio stabile nulla senza chiedere il permesso. Il problema: Eir porta a galla sensazioni sommerse nelle fosse della mia incoscienza consapevole, sensazioni, desideri che non posso permettermi di desiderare, perché funzionanti solo su lungo periodo.
Io non ho lunghi periodi di fronte.
Lei lo ignora. Si ripropone di non affrontare la realtà.
E mi serve l'entusiasmo, il futuro possibile, in modo crudele e candido, aprendomi i denti coi denti e lasciando che l'amore sconsiderato mi scivoli in bocca, nel petto, fino al basso ventre.
A volte la odio.
Un odio esasperato e possessivo.
Eir rende insopportabile l'esistenza rassegnata e leggera a cui m'ero abituato. Anzi, a cui m'ero addestrato con cura. Non è facile, c'è di mezzo la clinica. Non sono mai stato un entusiasta. Ma dover fronteggiare lo squilibrio mentale m'ha armato di un'indifferenza corazzata. Un disinteresse tagliente e incrollabile nei confronti del domani. Niente deve entrare, perché tutto, tutto, può provocare un immane effetto farfalla e spiantare il sistema difensivo alle radici.
Oramai le mura grondano falle, lo so.
Ha ficcato le dita dove ha trovato una crepa e m'ha graffiato la schiena fino a che non l'ha schiusa a sufficienza per infilarsi oltre la barriera.
Lei ed il suo esercito.
Il suo esercito di cose per cui vale la pena non morire.


(La mia schiena, sì. più o meno Eir fa tra le mie spalle quello che Montezuma combina con la tappezzeria del divano. Carino)

È successo un paio di sere fa.
Mi ha raccontato di Presta, del fatto che sta perdendo la memoria in modo inesorabile. Suppongo sia alzheimer. Non verrà mai a curarsi nel Core. Ovvio.
Vorrei che amasse abbastanza Eir da porsi alle spalle il passato, il passato che per altro la sta tradendo e abbandonando, mentre Eir resta lì, a vegliarla, fino al momento cruciale.
Eir non conosce cosa significhi sopprimere una persona inerme per il suo bene.
Uccidere in battaglia è diverso. È sano, è egoistico.
Uccidere qualcuno per il suo bene mette in gioco un altruismo estraneo alla natura intima per come biologicamente è stata programmata. Cozza assieme pietà ed istinto. Io ne sono uscito mentalmente provato e non mi ritengo nemmeno un individuo eccessivamente fragile.

Un suo compagno s'è fratturato la mano ed ha bisogno d'un medico. Presumo sia la mano con cui spara agli alleati, data l'urgenza della questione.
Mi credono un cretino.
In un certo senso, lo sono. Sono un cretino. Non dovevo accettare.
Non è il sogno nello specifico, il contenuto del sogno. Ho visto i migliori della mia generazione sventrarsi col sogno della vittoria e sto ancora cercando di capire cosa comporti per me, come mi faccia sentire a distanza di anni. Ho mai brandito quel sogno o ho solo finto, dormendoci a fianco, imbracciandolo in un travestimento?
Non è il contenuto del sogno.
È il fatto stesso di bruciarsi dentro un ideale intangibile, dare in pegno la pelle pulsante in cambio di concetti talmente dilatati nello spazio-tempo da svuotarsi.
Gusci. Gusci al sole.
La libertà è il guscio verbale della volontà riportata all'istinto, la giustizia è il guscio verbale della simbiosi, l'uguaglianza il guscio verbale della minorità verso l'universo incontrollabile.
Parole invece di cose.
L'umanità è il guscio verbale dell'affetto sperimentato, il popolo in guscio verbale del corpo fisico.
Parole invece di cose.

La rabbia stizzita, salutare, che attizzavo nel mio risentimento verso il gesto avventato, egoista di Eir nel propormi al suo equipaggio è scemata del tutto.
Rooster, il capitano della Almost Home, mi ha domandato cosa mi piaccia della vita.
Mi sono stupito a constatare come la risposta non mi venga naturale e spontanea. Ci sono troppi doppi fondi, nel mio spirito. Innanzi tutto dovrei definire con precisione la natura, il senso del verbo 'piacere'. Cosa comporta, che una cosa mi piaccia?
E pur stabilendo un significato alla parola 'piacere', sono in grado di includere elementi nell'insieme in modo sincero?

Cosa mi piace. Mi piace Eir (tutta quanta, anche quando la odio), mi piace il progetto di Vergil, la nave, mi piace l'amicizia di Vergil, il mio gatto, le fotografie, andare in moto, suonare il pianoforte, parlare con Roona, parlare con Lydia, le piume nei capelli di Deliorra, il lavoro (non sempre), il mare (che non vedo da molto tempo), i libri di carta (non leggo da parecchio), fumare, dormire, viaggiare, il long-island, il corpo di Evah, Beethoven (quel poco che resta), il cielo su Safeport (dove è pulito). 
Eir, ancora; mi piace l'ombra che le incide il muscolo sulla coscia, la curva scoscesa dei fianchi, i capelli intrigati, il sorriso selvatico, i segni che le sgusciano vicino agli occhi quando ride o quando si arrabbia (specialmente quando si arrabbia), il suo odore di alcol e macchina, la voce roca,la furia, la bambina, la donna. 
Adoro la morfina. Da pazzi. Non mi vergogno di ammetterlo, gli sono puntualmente devoto. Mi piace la sensazione di vuoto pulito, caldo, accogliente che mi disfa il cervello, allenta le morse dell'anima, tacita la coscienza, il puro piacere senza compromessi, formalità, ostacoli. Al di là di ogni ragionevole dubbio non posso farne a meno e non intendo provarci.
Opera ciò che da solo non riesco ad ottenere alla perfezione: il distacco, la cesura dalla responsabilità di avere ostinatamente una vita da vivere, con le sue attese, le tragedie e le risalite. Ma soprattutto, le sue pretese, le sue aspettative. 
Eppure la morfina esclude il resto. Lo rifiuta, lo annichilisce. 
Quindi mi chiedo: cosa mi piace? 
I giorni che rimangono per decidere appaiono scarsi ed insufficienti. 

Gli incubi, da diverse notti, sono tornati. 
Se chiudo gli occhi, da solo nella stanza, vedo Serenity. 
Mi sembra di poter contare tutti i morti, di conoscerli, di averli uccisi a colpi alla nuca. 
Sono ovunque, sono la valle.
Ancora, ancora, ancora. 

Perché la amo? Perché la aiuto? Perché non la lascio andare? Perché non la costringo a sparire? Perché ho bisogno di lei? Perché esigo che sia felice? Perché ho avuto paura per Neville, al ranch? Perché cerco perennemente la sua presenza? Perché ho comprato un regalo a Deliorra? Perché ho preso migliaia di impegni? Perché desidero che Roona si senta bene? Perché voglio trovare Verdiana? Perché voglio salvare Presta? Perché ho avvertito l'impulso di sentire mia madre? Perché esasperarsi nel restituire Ellen Fansworth alla famiglia? 
Perché sto sfogliando il diario della clinica? 
Perché rileggere le lettere di William?
Perché recarsi in archivio a Capital City cercando il progetto Larousse? 

Tornare vulnerabile. 
Tirare la testa fuori dalla trincea, alla ricerca d'aria pulita, sapendo che rischi ogni istante un proiettile al cranio.