giovedì, dicembre 20

Enterlude exitlude




« El, El, El, aspetta aspetta aspettaaaa... occristo, occristo …»
William si piega, i capelli lunghi per poco non spazzano il pavimento coperto di cocci, lattine collassate, accendini smarriti, chiazze annacquate, impronte di suole, mozziconi accartocciati. Solleva un braccio, a contare il tempo della ripresa; come in un incontro di boxe. Un incontro di boxe disputato in una piscina di rum. Eleazar china il capo, appunta le pupille a spillo sulle spalle dell'amico. Una mano poggiata al palco, il corpo sbilanciato in modo eccessivo, il sorriso sbilanciato in modo eccessivo, gli occhi sornioni e sciolti dall'alcol (eccessivo). 
«Andiamo... andiamo... sei... »
Riflette, cerca il termine, caricando il cervello con movimenti circolari e strascicati della sinistra in sospensione, elegante, abbracciata ad un bicchiere di plastica « … teatrale e... pavido... coniglio » Conclude, con l'espressione serafica di chi sopravvive ad ostici sillogismi. Un frullare del capo, per scansare dalla fronte i ciuffi arruffati.
William addenta ossigeno. Raddrizza la schiena. Barcolla. La mente sciaborda nella scatola cranica, ed il suo portatore non ha altre armi, per bloccarla, che uno sbatacchiare precipitoso di palpebre.
« coniglio teatrale? 'coniglio teatrale'? » 
« pavido » 
« mh? » 
« teatrale pavido coniglio. Non... coniglio teatrale » 
« è lo stesso » 
« no no » 
Accanto ai due transitano profili saltuari, gente fitta che si intrattiene dopo il concerto, fa la spola tra il bancone bar ed il centro del capanno dal soffitto schiacciato. 
« credi che... vomitare in... questo... vaso... insomma... questo vaso qui » 
« sei un signore, Keynard... brilli di luce tua» 
« 'fanculo, puttana...» 
Eleazar guarda la pianta in maniera falsamente turbata, anche nella sbornia mantiene un contegno languido e superficiale da sciupa-esistenza « È reato ... » silenzio. Pausa contemplativa « … ubriacare gli spazi verdi » 
« che ?! » 
« gli spazi verdi » 
« quali? » 
« il … geranio » 
William fissa il compare, in un'esasperazione molto prossima al terrore. Ritter snuda una smorfia a denti scoperti, compiaciuto del proprio frivolo, favoloso sadismo mentale. 
« Ritter io... tu... devo vomitare, porco cane, devo vomitare!! » 
« resisti. dammi il tempo di attirare spettatori... » 
« sei un medico » 
« non ti serve un medico. Ti serve un cucchiaio » 
Seguono momenti di stasi inutile. La musica in filodiffusione trasmette un gruppo molto in voga tra i frequentatori del pensiero alternativo-sedizioso (o gli innumerevoli presunti tali). Gli Exodus Night. 
Will dimentica la ribellione stomacale con la medesima rapidità spesa per lamentarsene. Inizia a sezionare una foglia del fantomatico geranio (che non è affatto un geranio) con cautela imbecille. 
« cosa stai... bevendo, Ritter? » 
« sto bevendo... » Eleazar si blocca. Arriccia le labbra. Fissa William in un pigro e ciondolante interrogativo. Infila il naso nel tumbler. Annusa, solennemente « vino. O piscio di cavallo, non riesco a... discernere... » 
Will gli sfila di mano il bicchiere e lo trangugia d'un sorso. 
« tranquillo. Tutto... sotto controllo. È ufficialmente piscio di cavallo. Discerni bene » 
«Sfotti?»
«Discerno»
«Discerni nella prossima vita. Quando sarai sobrio e saprai cosa significa»
«Cosa significa essere sobrio?»
Eleazar scoppia a ridere, scuote la testa. Quando ride sul volto acerbo e spigoloso si scardina qualcosa. Si scardina una luce, in modo rumoroso. Strano. 
«Crepa, Will»
William, barcollando una sorta di inchino, ride a propria volta. Ha una faccia estiva fatta per vestire sorrisi. Agguanta una bottiglia di vodka avviata dal bordo del bancone. Quando è ubriaco non si fa paranoie di tipo igienico. La presenta all'amico, sbilanciandosi. 
«Allora... Alla prossima vita, Ritter»
Rovescia sulla lingua scurita dal vino un fiotto trasparente, i tratti morbidi dell'espressione a cozzare sulla risata assurda, spensierata. Agita la foglia nella sinistra simile ad una bandiera di trionfo. Passa la vodka. Eleazar butta un angolo delle labbra verso l'alto, beve quattro boccate di sfida ed una di incoscienza purissima. 
«Alla prossima vita, Keynard. Alla prossima vita»

È l'inverno pulito, nudo, scintillante di Capital City. Sono le tre del mattino, in un capanno di periferia, ad una festa universitaria qualsiasi. Hanno ventun anni. Sono insieme. Tutto è possibile. Giovani, belli e immortali. La prossima vita non esiste. Questa vita sembra poter durare per sempre. 

Alla prossima vita. 




L'appartamento è pulito, deserto. Un deserto pulito. Manca il fango delle trincee, manca l'odore del sangue dello xentio bruciato. L'appartamento è calmo e bugiardo. Anacronistico. L'appartamento è il suo. L'appartamento non è il suo. È di una persona vaga, ipotetica, che cinque anni fa partì per un conflitto in terra straniera. Quella persona non esiste più. S'è persa, pezzo a pezzo, sull'argilla brulla di Blackrock, tra gli speroni di Spartaca, le macerie di Boros, l'apocalisse di Hera. 
Estraneo. Eleazar è un estraneo seduto sul letto d'un altro uomo. Il browncoat, sporco di chiazze scure, pende dalle spalle magre; il bavero sostiene a fatica i tratti netti, taglienti, d'uno spirito raschiato da milleottocento giorni di guerra. Non lo ha ancora tolto, da quando è giunto in patria, oramai da un centinaio d'ore. Alcune notti. Forse non s'è mosso da quell'angolo se non per pisciare, stappare un'altra bottiglia di whisky o scartare l'ennesima stecca di sigarette. Beve. Il futuro è passato come un treno in corsa e lui era distante parsec dal binario giusto. Stava facendo la cosa giusta, lontano dal binario giusto. Non ci sarà un altro treno. È l'attesa dopo la coscienza. L'attesa dell'incoscienza. Beve. Fissa il letto di Will. È vuoto. Spoglio delle lenzuola. Quel materasso nudo è una visione disgustosa. Repellente. Nausea. 
Sopra al materasso, piegato, il cappotto marrone di Keynard: l'unica cosa del figlio che i genitori non hanno portato via. Nausea. Beve. 
Larousse lo ha raccolto allo spazioporto, lo ha caricato sul sedile posteriore. Ha cercato di parlargli, senza risultato. Ha domandato, con coraggio, se potesse fare qualcosa. Ha domandato, pregando, supplicato di poter fare qualcosa. Niente. 
Se avessi bisogno, chiamami, Eleazar. 
Niente. 
Ritter beve, fissa l'assenza davanti a sé, gli occhi verdi, un tempo sottili ed irruenti come un cortocircuito elettrico, sbattono nella stasi ossidata della ruggine. Bisogno. Non ha più bisogni. Ciò di cui avrebbe bisogno è così esteso, incommensurabile, da vanificarsi tra le pareti del monolocale, del petto smagrito; puoi muoverti fra le maglie enormi di quel bisogno senza accorgerti che esiste, senza sentirlo. Tanto è immenso. 
Ingoia, respira. Il cielo cenere e nebbia di Horyzon è una mano di cemento. Muta, distante. Riversa nella camera un chiarore pallido, rarefatto. Le ombre si spostano, strisciano adagio. Beve. 
Will è morto. 
Keynard William, Corona, 8 Agosto 2483, A+, CNT 1398 7989 45310, deceduto presso Villahermosa, Shadetrack, il 27 Luglio 2511 per complicazioni generalizzate sopraggiunte in seguito alla perdita della gamba destra e alla grave degenerazione della ferita. Ospedalizzato il 18 Luglio. 
Nove giorni. 
Di agonia. 
E un istante. 
Il suono straziante di un ingranaggio nel cervello che salta.
Un tirante interiore che si schianta. 
Si schianta il tirante, i capi del cavo finiscono altrove. 
Il vuoto. Il gusto del vuoto.
Green, Valentine, Defoe, Carrol, Flint, Mallory, Doherty, McCoy, Wallace. 
Green, Valentine, Defoe, Carrol, Flint, Mallory, Doherty, McCoy, Wallace. 
Will.
Will. 
L'anima avvampa come idrogeno. 
Eleazar sbatte la bottiglia sul vetro della finestra. 
Contatto. 
Esplosione. 
Uno sbotto di whisky, uno sbotto di sangue. 
Afferra, fracassa a terra la libreria. 
Si volta. Contatto. Strattona la credenza, la frantuma sul pavimento. 
Schizzi di cocci bianchi. Esplosione. 
Il tavolo. Lo rovescia. 
Contatto. Uno, due, tre, quattro pugni allo schermo a cristalli. 
Lo strappa dal muro, lo sbatte una, lo sbatte due, lo sbatte tre volte sulla parete. Esplosione.
Rilascia, getta lontano. 
Contatto. Stringe la sedia, carica, la sfracella contro la finestra, contro la finestra, contro la finestra. Esplosione. Contro la finestra. Esplosione, esplosione, esplosione. 
Ancora 
ancora 
ancora 
ancora. 
La fame la distruzione la rabbia la furia l'abbandono il vuoto il niente le immagini il senso la solitudine i corpi migliaia di corpi i milioni di corpi William l'armistizio il fango i corpi i corpi i corpi i corpi il furore. 
Furore. 
Furore.
Dolore. 
Inconcepibile infinito insopportabile inestinguibile infrangibile ineluttabile imbattibile immane immobile immediato invadente invincibile inviolabile invalicabile Dolore. 

È l'autunno freddo, grigio, asfissiato di Capital City. Sono le tre del pomeriggio, nel suo appartamento sulla settantatreesima, in un ritorno a casa senza casa e senza ritorno. Ha ventisette anni. È solo. Tutto è crollato. Distrutto, sciupato e straziato. La prossima vita non esisterà. E questa vita, questa vita sembra voler durare per sempre. 


Alla prossima vita. 
Alla prossima vita. 
Alla prossima vita.